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A Caracas apre Casa Italia. Dissidenti in ambasciata come ai tempi dei militari

Nella sede diplomatica due oppositori di Maduro Roma e i rifugiati nel Sud America degli anni '70

A Caracas apre Casa Italia. Dissidenti in ambasciata come ai tempi dei militari

La repressione sale d'intensità e il Venezuela del filocubano Nicolàs Maduro comincia pericolosamente a somigliare a certe dittature militari di destra del Sud America degli anni Settanta del secolo scorso. E anche talune reazioni internazionali agli atti violenti e illiberali del dittatore rosso della Caracas di oggi richiamano alla memoria quelle opposte ai suoi simili in divisa a Buenos Aires e Santiago del Cile tanti anni fa.

Sono ormai dieci i deputati dell'opposizione che Maduro ha accusato di intenzioni golpiste dopo i disordini dello scorso 30 aprile e ai quali ha fatto togliere l'immunità parlamentare. Uno di loro, l'ex vicepresidente dell'Assemblea Nazionale Edgar Zambrano, è stato spettacolarmente arrestato tre giorni fa con l'impiego di una gru mentre si trovava a bordo della sua auto a Caracas, e ieri la Corte Suprema controllata dal regime filocastrista ha deciso la sua detenzione in un carcere militare. Altri tre hanno scelto di sfuggire alla più che probabile cattura cercando rifugio in ambasciate straniere: uno, Richard Blanco Delgado, ha trovato asilo presso la delegazione argentina, mentre altri due si trovano all'interno dell'ambasciata italiana. Mariela Magallanes, sposata con un cittadino italiano e con in corso il procedimento per l'ottenimento della cittadinanza italiana, era stata accolta già tre giorni fa presso la residenza del nostro ambasciatore a Caracas. Ieri anche Amèrico De Grazia, il cui cognome segnala chiare origini italiane, ha fatto la stessa scelta, e anche a lui sono state aperte le porte dell'ambasciata del nostro Paese, che in base alle leggi internazionali gode del diritto di extraterritorialità.

«Non voglio essere considerato come un eroe né come un martire ha detto De Grazia ringraziando le autorità italiane ma non intendo dare alla narcodittatura la soddisfazione di esibirmi come trofeo e utilizzarmi come ostaggio. E ribadisco il mio impegno con il Venezuela, pur cosciente delle limitazioni che dovrò osservare in seguito alla mia decisione obbligata». Già mercoledì scorso, dopo l'accoglimento della richiesta della deputata Magallanes, il ministro degli Esteri italiano Enzo Moavero Milanesi aveva espresso la sua «ferma condanna» per la spoliazione dell'immunità parlamentare ai danni di sette parlamentari (nel frattempo saliti a dieci) da parte del regime di Maduro. Secondo Moavero Milanesi, che rappresenta la linea di dialogo con il regime scelta dal governo italiano, questi atti «non aiutano affatto la ricerca di una soluzione democratica e pacifica della grave situazione venezuelana».

La scelta dell'ambasciatore italiano richiama alla memoria, sia pure in circostanze diverse, quanto fece oltre quarant'anni fa il nostro diplomatico Enrico Calamai. Nel 1973 Calamai, vice console a Buenos Aires, era in missione in Cile quando il generale Augusto Pinochet prese il potere con un colpo di Stato. In circostanze drammatiche riuscì a ottenere il trasferimento in Italia di 412 persone che si erano rifugiate nella nostra ambasciata chiedendo asilo politico: tra loro c'erano 50 bambini. Calamai si meritò il soprannome di Schindler di Buenos Aires tre anni dopo, quando replicò il suo gesto riuscendo a far espatriare altre centinaia di oppositori, stavolta argentini, che rischiavano la vita. Gesta che forse sarà necessario ripetere nel prossimo futuro in un Venezuela che scivola verso la perdita definitiva delle libertà civili.

Il capo dell'opposizione Juan Guaidò ha annunciato per oggi una nuova mobilitazione, appellandosi al popolo contro una «dittatura sfiduciata».

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