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Caracas, vittime senza funerali: "Seppellirli costa troppo"

Le testimonianze dei nostri connazionali: «Viviamo in un carcere a cielo aperto». Rischio gruppi armati

Caracas, vittime senza funerali: "Seppellirli costa troppo"

San Paolo «Un disastro», da Caracas le parole di un nostro connazionale, descrivono meglio di ogni analisi la situazione di un Venezuela. «Se esci con la tua auto - continua la nostra fonte che chiameremo Gianni per proteggerlo da possibili ritorsioni - rischi che ti fermi un collettivo armato (i paramilitari al soldo del chavismo, ndr) e te la porti via. Polizia non se ne vede in giro. È come durante la Seconda guerra mondiale in Italia dopo l'8 settembre».

Se non guerra civile, insomma, anche ieri è stata una giornata di caos nella capitale dell'ex Venezuela saudita, un paese dove persino i morti non possono più essere seppelliti nei cimiteri perché costa troppo il funerale per chi guadagna l'equivalente di 5 euro al mese e, dunque, molti sono costretti a usare fosse clandestine sotto casa per dare l'ultimo saluto ai propri cari.

«È una tragedia, viviamo in un carcere a cielo aperto» racconta Gianni prima che cada la linea perché, vicino al suo appartamento, hanno iniziato a sparare altri sgherri di Maduro, quelli dei corpi speciali del Faes, veri e propri squadroni della morte con licenza di uccidere che stanno mietendo vittime ogni notte.

«Il rischio è che il mio paese si trasformi in quella che fu la Colombia degli anni 80, a causa di gruppi guerriglieri come le Farc dissidenti e l'Eln, che già controllano una parte del territorio venezuelano. Inoltre esiste il rischio che nascano nuovi gruppi armati racconta al Giornale Roger, ex ingegnere di Pdvsa costretto a lasciare il Venezuela perché nel 2004, quando ancora il regime consentiva di fare referendum revocatori, lui votò contro Chávez. Roger perse quel posto nella statale petrolifera venezuelana perché il suo suffragio fu schedato nella lista di Tascón, una lista di proscrizione che servì al regime per «depurare» tutti gli «elementi anti-rivoluzionari» in Pdvsa e licenziarli in tronco.

Da allora sono passati 15 anni, Tascón come Chávez è passato a miglior vita, ma l'esistenza di milioni di venezuelani oggi costretti a rovistare nell'immondizia in cerca di cibo o a barricarsi in casa per evitare che le loro case siano occupate dai collettivi - è oramai diventata un inferno. Non è un caso che l'ultimo sondaggio di Metanálisis ieri ci dica che l'83,3% dei venezuelani non fuggiti all'estero (saranno circa il 30% della popolazione totale a fine 2019 per l'Onu) vogliono che Maduro lasci subito il potere.

Di questo odio popolare crescente ha terrore il delfino di Chávez che, mentre ieri annunciava per inizio febbraio «le maggiori esercitazioni militari della nostra gloriosa storia contro l'Impero che ordisce contro di noi un golpe», ha sempre ieri ben più sommessamente ma ufficialmente fatto sapere che i diplomatici statunitensi avranno un mese in più di tempo per lasciare il Venezuela. A parte mogli e figli, infatti, nessuno di loro aveva sloggiato entro la mezzanotte di sabato, quando scadeva l'ultimatum di 72 ore dato dallo stesso Maduro subito dopo il giuramento, come presidente costituzionale ad interim, di Juan Guaidó, lo scorso 23 gennaio.

E mentre i russi starebbero garantendo la sicurezza di Maduro, un centinaio di marines Usa starebbero da giorni garantendo la sicurezza di Guaidó. Inoltre, altri 4 fatti hanno indebolito nelle ultime 24 ore la dittatura. Il primo è che anche Israele ha riconosciuto il presidente costituzionale. Il secondo è che i cubani hanno già contattato il presidente del Messico Amlo per trovare un sostituto del Venezuela per le forniture di petrolio e gli aiuti garantiti all'Avana nell'ultimo ventennio da un chavismo ormai in caduta libera. Non bastasse questo, ieri l'addetto militare dell'ambasciata venezuelana a Washington ha riconosciuto Guaidó come presidente legittimo. Infine, Mike Pompeo ha scelto Elliot Abrams, un 71enne diplomatico veterano che servì Ronald Reagan nel 1981 per contenere l'espansionismo comunista in America centrale, come responsabile unico del Dipartimento di Stato Usa per il Venezuela.

Soprattutto per questo Maduro da ieri trema.

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