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Che pena la resistenza sul corpo di Melania

In una società libera ognuno dovrebbe poter esprimere il proprio pensiero, per quanto esso possa risultare arcaico, insensato o volgare

Che pena la resistenza sul corpo di Melania

La spacciano per la «resistenza» di una parte dell'America, quella sana, all'ascesa del presidente legittimamente eletto. In realtà, contro la famiglia Trump è in atto un autentico boicottaggio ad opera dell'élite progressista e illuminata. Il corpo statuario della First lady, l'incantevole Cenerentola dei nostri tempi che qualunque stilista vorrebbe vestire, è diventato l'ultimo campo della scorribanda politica.

A smascherare l'intolleranza dei colleghi è stato Stefano Gabbana che, dopo aver visto su un sito inglese Melania con indosso un tubino D&G per il party di Capodanno a Palm Beach, ha voluto ringraziarla pubblicamente su Instagram. Apriti cielo. I follower l'hanno inondato di proteste: «Ma non capisci che l'elezione di Trump ha lacerato il nostro Paese?», «Non ti vergogni a sostenere una donna come Melania?». Qualcuno ha invocato addirittura il boicottaggio: «Non compreremo mai più un Dolce e Gabbana». E dire che i due stilisti, già due anni fa, si erano ritrovati al centro di polemiche infuocate per il sol fatto di aver espresso sul settimanale Panorama la propria personale contrarietà a «bambini sintetici e uteri in affitto», in quel caso si scomodò persino John Lennon pronto al boicottaggio contro un «pensiero arcaico».

Il fatto è che in una società libera ognuno dovrebbe poter esprimere il proprio pensiero, per quanto esso possa risultare arcaico, insensato o volgare. Forse un gay deve professarsi per forza a favore della fecondazione assistita? O forse lo stilista che valorizza il corpo della First lady abbraccia implicitamente la campagna politica del di lei marito? Le firme della moda internazionale, da Marc Jacobs a Tom Ford, portabandiera dello sdegnoso rifiuto, ritengono di sì. Stefano Gabbana invece si conferma maestro di tolleranza. «Non capisco chi butta tutto in politica ha detto - Facciamo vestiti, chi ci crediamo di essere? Io non penso di essere proprio nessuno, altri stilisti non so». Il tycoon che scherza sulla sindrome mestruale della giornalista, promette di reintrodurre la tortura per waterboarding e bolla Obama come «fondatore dell'Isis», non piace alla gente che piace.

Per carità, the Donald è un tamarro di talento, ed è doveroso censurarne gli eccessi. Ciò non toglie che gli americani abbiano scelto. E il rispetto per quell'invenzione bellissima dal nome «democrazia» dovrebbe indurre a più miti consigli gli stilisti riottosi non meno che i cantanti disertori alla cerimonia di pre-inaugurazione. All'evento fissato per il 19 gennaio, il giorno prima dell'insediamento alla Casa Bianca, non ci sarà alcun nome di rilievo, insomma sono tutti artisti sconosciuti.

L'America è molto più grande di certe baruffe da cortile.

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