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Chi combattè di più la mafia? L'ultimo governo Berlusconi

Un libro documenta tutti i successi tra 2008 e 2011 dell'esecutivo con Maroni ministro degli Interni

Chi combattè di più la mafia? L'ultimo governo Berlusconi

L'esecutivo che ha ottenuto più risultati nella lotta alla criminalità organizzata? Il IV governo Berlusconi. Non è un'opinione. È un dato, come si usa dire oggi. Carta canta: in tre anni e mezzo, dal 2008 al 2011, l'ultimo governo Berlusconi stabilì un record dopo l'altro con otto mafiosi arrestati in media ogni giorno, la cattura di quasi tutti i superlatitanti, oltre 25 miliardi di euro di valore di beni tra sequestri e confische, una legislazione antimafia aggiornata, irrobustita, condivisa. Nel maggio 2012, sei mesi dopo la caduta del governo, Pietro Grasso, all'epoca procuratore nazionale antimafia, partecipò alla trasmissione radiofonica La zanzara e Giuseppe Cruciani e Davide Parenzo gli chiesero se avrebbe dato un premio al governo Berlusconi per la lotta alla mafia: «Sì - rispose Grasso - premio speciale, certo, è così davvero». Se ci fosse stato, quel premio sarebbe andato a Roberto Maroni, il «leghista tricolore» che era ministro degli Interni. Fu Antonio Polito, che all'epoca dirigeva il Riformista, a scrivere che Maroni era il ministro «di una delle stagioni più ricche di successi nella caccia ai mafiosi e ai camorristi nella storia delle Forze di polizia». Fu Giancarlo Caselli, invece, in una lettera pubblicata sul Fatto quotidiano nel dicembre 2009 a definire il ministro Maroni un «riferimento sicuro» tanto che «non si può non registrare una continuità nel contrasto militare di Cosa Nostra che non si è mai avuta prima». Poi, però, questa bella storia italiana si interrompe, il governo cade, come si sa, con l'altra storia dello spread e dell'«antimafia vincente» si perde la memoria, tutto è ridimensionato, travisato nei libri, nelle cronache, nei salotti tv dai «professionisti dell'antimafia» e i concreti risultati del governo che svolse un'azione di repressione del crimine organizzato «senza precedenti nella storia repubblicana» sono come cancellati nel discorso pubblico e dalla storia si ritorna alla retorica.

Ma la storia se c'è attende solo di essere documentata e scritta. Lo ha fatto il giornalista Giacomo Ciriello che dal maggio del 2008 al novembre del 2011 fu uno dei più stretti collaboratori di Maroni e occupava con garbo e discrezione la stanza di fronte a quella del ministro: «Non aveva orari - ha detto Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto di Maroni - al Viminale sembrava ci vivesse». Conoscendo Giacomo Ciriello da una vita, forse due, non stentiamo a crederci. Però, ciò che qui conta è il testo. Ancora una volta, carta canta: La mafia si può vincere (in uscita dall'editore Aragno il 10 settembre) è un libro in cui ogni rigo è documentato e la prosa ha la chiarezza dell'onestà dell'intelletto. La mafia si può vincere? «Non so dire quando sarà sconfitta, ma lo Stato - se vuole - può farcela». Il punto è proprio questo: in quei tre anni e mezzo, con Berlusconi a Palazzo Chigi e Maroni al Viminale, lo Stato volle e l'ala militare della mafia fu messa in ginocchio, rimase fuori solo la «primula rossa» Matteo Messina Denaro, ma per il resto Cosa nostra fu piegata. Come fu sconfitta la Camorra nella sua versione più violenta e aggiornata dei Casalesi. Quando, pochi giorni dopo la caduta del governo, il 7 dicembre 2011, fu arrestato Michele Zagaria, il boss al momento della resa nel suo bunker disse: «Avete vinto voi, ha vinto lo Stato».

Ma dietro questo nome astratto - Stato - vi sono uomini e donne, poliziotti e carabinieri, dirigenti e magistrati che con la «svolta» voluta da Roberto Maroni al Viminale costruirono il «modello Caserta» che fu poi impiegato a Bari e a Foggia, a Reggio Calabria e a Palermo e con il lavoro continuo e metodico, che rifuggiva dalle passerelle, si ottennero risultati senza precedenti e in poco tempo furono arrestati Giuseppe Setola, Antonio Iovine, Michele Zagaria.

Il primo Consiglio dei ministri si tenne il 21 maggio 2008 nella prefettura di Napoli. Sembrava tutta scena, se non sceneggiata, e invece era sostanza. Maroni non si presentò a mani vuote ma con il primo «pacchetto sicurezza» che riguardava un decreto legge, un disegno di legge, tre decreti legislativi e un disegno di legge per l'adesione dell'Italia al Trattato di Prum. Nelle due settimane precedenti, Maroni aveva organizzato il lavoro e recuperato il legname buono che c'era in cascina. Il suo convincimento era quello degli uomini di buona volontà: «Non importa chi propone, importa cosa propone».

Con il «pacchetto sicurezza» fu inasprito il 41 bis che riguarda i detenuti soggetti al regime speciale. Tuttavia, una cosa è fare le leggi, altra è governare e lavorare in concreto. Quella estate del 2008 fu calda, caldissima e rosso sangue. Proprio a partire dal mese delle rose, tra Napoli e Caserta, ci furono una serie crescente di delitti che culminarono il 18 settembre nella strage di Castel Volturno in cui vennero uccisi sei africani.

La risposta dello Stato - in concreto, del governo - fu rapida ed efficace. Maroni chiese al capo della polizia di predisporre un piano ad hoc per Caserta e Antonio Manganelli, il poliziotto con il sorriso, non si fece pregare. Due giorni dopo la strage si decise di inviare sul territorio 400 unità di personale altamente qualificato. Il 23 settembre si ricorse anche all'esercito. Il 3 ottobre Maroni era a Caserta per presiedere la riunione delle Forze dell'ordine con la partecipazione anche del procuratore nazionale antimafia. Nasceva il «modello Caserta» che dopo un anno dava questi risultati: 85 importanti operazioni di polizia, 660 arresti di soggetti appartenenti ai sodalizi criminosi del clan dei Casalesi; 19 latitanti catturati, di cui 2 inseriti nell'elenco dei 30 più pericolosi e 4 nell'elenco dei 100 più pericolosi; 302 milioni di euro il valore complessivo dei beni sequestrati in 12 mesi mediante il sistematico ricorso alle misure di prevenzione; 6 milioni il valore dei beni definitivamente confiscati. Mentre si lavorava e arrestava, Roberto Saviano disse che Maroni «sul fronte antimafia è uno dei migliori ministri degli Interni di sempre» ma «sono ancora liberi Zagaria e Iovine». Arrestati.

E pensare che questi risultati, che farebbero l'orgoglio di qualunque ministro, sono solo una piccola parte del governo Berlusconi che sconfisse la mafia.

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