Politica

Ma chi insulta davvero Re Giorgio la fa franca

Da Travaglio ai grillini, le offese al Capo dello Stato si sprecano. E nessuno paga

Roma - Francesco Storace rischia fino a cinque anni di carcere per aver definito «indegno» il capo dello Stato, ma quanti sono quelli che hanno rivolto al presidente Giorgio Napolitano insulti ben più pesanti senza generali levate di scudi e senza finire in guai seri con la giustizia?

In pole position per le accuse rivolte al presidente senza alcun rispetto per la carica, ci sono senza dubbio i grillini. Dal più recente «Napolitano boia» pronunciato del deputato M5S Giorgio Sorial - che per la verità ha provocato la condanna pressocché unanime da parte di tutte le forze politiche e se non altro ha fatto muovere la Procura - al più datato «Morfeo Napolitano», tra i pentastellati e il capo dello Stato non è mai corso buon sangue. E gli insulti sono volati spesso nell'indifferenza generale, senza che nessuno neppure pensasse di ipotizzare l'accusa di vilipendio. Era il 2008 quando Grillo dava del «Morfeo» al presidente perché «è come se non ci fosse, stringe mani e beve il tè». E che dire del «presidente carampana» formulato sempre dal leader Cinquestelle nel 2009 quando motivo di scontro tra i due erano le leggi ritenute ad personam di Berlusconi. Nel 2012 in occasione della ricorrenza del 25 aprile Grillo si era spinto oltre dando della «salma» a Napolitano che lo accusava di demagogia. Qualche polemica, niente di più. Come del resto quando lo scorso luglio la responsabile web dei grillini a Montecitorio Debora Billi in occasione della morte di Giorgio Faletti scrisse su Twitter : «Se ne è andato Giorgio. Quello sbagliato». Incidente concluso con tante scuse da parte della cinguettante.

Altra inesauribile fonte di insulti per Napolitano è Marco Travaglio, che c'è sempre andato giù duro contro il presidente con volgarità di ogni tipo senza che nessuno si indignasse più di tanto. Nell'agosto del 2013 il vicedirettore de il Fatto se l'è presa con il presidente della Repubblica reo a suo dire di aver lasciato uno spiraglio a Berlusconi etichettandolo come «un anziano puerpero in un reparto di geriatria». Qualche mese prima, ad aprile, il giornalista aveva dedicato al Capo dello Stato un editoriale dal titolo eloquente, «Napolitano bis, Funeral Party», in cui parlava con inaudita virulenza della rielezione del presidente. «Il cadavere putrefatto e meleodorante di un sistema marcio e schiacciato dal peso di cricche e mafie, tangenti e ricatti - scriveva - si barrica nel sarcofago inchiodando il coperchio dall'interno per non far uscire la puzza e i vermi. Tenta la mission impossible di ricomporre la decomposizione. E sceglie un becchino a sua immagine e somiglianza: un presidente coetaneo di Mugabe, voltagabbana e potenzialmente ricattabile che da sempre lavora per l'inciucio e finalmente l'ha ottenuto».

Ma l'immagine del presidente becchino-voltagabbana non ha scandalizzato nessuno.

Come se ci fosse una certa assuefazione, o forse indulgenza, nei confronti dei toni di Travaglio.

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