Cronache

Le chiede di lavorare senza velo: condannata

Titolare di un'agenzia risarcirà per "discriminazione religiosa" una ragazza musulmana

Le chiede di lavorare senza velo: condannata

La sensazione è che Sarah Mahmoud, 25 anni, nata in Italia da genitori egiziani trapiantati a San Giuliano (Milano), su questa «storia del velo», ci abbia un po' «marciato». Articoli sui giornali, interviste televisive, proclami sui social: decisamente un battage eccessivo per una vicenda che, a occhi profani in tema di diritto, non pare avere nulla a che spartire con la «discriminazione religiosa».

Eppure è proprio questa l'imputazione che ha portato alla condanna (commutata in un risarcimento danni di 500 euro) di Roberta Casetti, 36 anni, titolare dell'agenzia Evolution Events che fa da intermediaria tra giovani e aziende per lavori di vario genere.

Ma qual è questa «storia del velo»? «Tutto nasce nel 2013 - spiega al Giornale, Roberta Casetti -. Sarah risponde via mail a un nostro annuncio in cui chiedevamo la disponibilità per un volantinaggio per un'azienda che si occupa di calzature. Sarah, dichiarandosi disponibile all'incarico, ci invia una foto in cui ha la testa coperta dal velo islamico. Noi le rispondiamo chiedendole se è disposta, durante le ore di lavoro, a toglierlo. Lei risponde no in quanto musulmana praticante. Noi prendiamo atto della sua libera volontà, la salutiamo cordialmente, facendole però presente che per quel lavoro di immagine non potevamo certo usare una ragazza che coprisse i capelli».

In questo scambio di mail voi ci vedere una qualche forma di «discriminazione religiosa»?

Noi, francamente, no. E dello stesso parere è anche il giudice del tribunale di Lodi che infatti non individua nel comportamento della titolare della Evolution Events nessuna fattispecie di reato.

Ma che c'entra il «giudice» e il «tribunale di Lodi»? C'entrano eccome, considerato che Sarah, subito dopo aver ricevuto la mail di risposta dall'agenzia, si era fiondata in procura per denunciare la «grave discriminazione» di cui era rimasta «vittima». Ma la battaglia di Sarah non è solo a colpi di carta bollata, ma pure di carta stampata: della presunta (molto presunta) «discriminazione» si occupano infatti anche i giornali e, sull'onda dell'eco mediatica, arriva pure l'immancabile intervista a quelli de Le Iene. Il programma la intervista in due occasioni: Sarah, universitaria modello, appare spigliata e simpatica, anche se alcune domande sul sesso la mettono un po' in imbarazzo.

Nessun «imbarazzo» invece nel ricorrere in appello a seguito del verdetto di primo grado che aveva mandata assolta la manager Roberta Casetti.

Il fascicolo passa al tribunale di Milano che, al contrario, accoglie le tesi dell'avvocato di Sarah ritenendo colpevole di «discriminazione religiosa» la titolare della Evolution Events che ora dovrà versare «a titolo risarcitorio» 500 euro alla ragazza egiziana. Giustizia è fatta?

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