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Chiude "Open", prove di rifondazione renziana

Chiude "Open", prove di rifondazione renziana

Roma - La fenice risorgerà dalle sue ceneri? Cosa ne sarà dell'eredità della fondazione Open, che adesso chiude definitivamente i battenti? Il think tank del renzismo era entrato nel suo sesto anno di attività ricco di un bilancio tutt'altro che negativo. Eppure questa bandiera del progressismo in stoffa toscana sta per essere ammainata.

I maligni dicono sia uno dei segni (forse il più evidente) di un cambio di scena. La corrente facente capo all'ex segretario del partito smette di essere il timone del pensiero politico di chi si riconosce nell'area del centro-sinistra. E la corrispettiva fondazione perde quasi ragion d'essere. Quella che è stata la «macchina» che ha permesso a Matteo Renzi di coprire la distanza tra Palazzo Vecchio a Palazzo Chigi viene rottamata, seguendo in questo senso la sorte del suo stesso ideatore. In tutti questi anni, infatti, la fondazione ha fornito tutti gli strumenti (anche finanziari) per organizzare e promuovere gli incontri della Leopolda che, col tempo, erano diventati uno degli appuntamenti più seguiti del dibattito politico nazionale. Un laboratorio della politica - la Leopolda - che serviva da incubatrice di nuovi scenari ma anche da ribalta dell'immagine vincente del renzismo. In questi sei anni la fondazione (battezzata, tra gli altri, nel febbraio del 2012, da Maria Elena Boschi, Luca Lotti e Marco Carrai) è riuscita ad attirare sponsor molto importanti, incassando più di 5,5 milioni di euro (al 30 giugno del 2017). E i maliziosi hanno sottolineato il curioso effetto che il successo finanziario di Open coincide con il progressivo indebolimento finanziario proprio del Partito democratico (la cassa integrazione dei dipendenti del Nazareno finirà soltanto il primo settembre prossimo).

Gli osservatori delle cose politiche dicono poi che la chiusura di Open sia un segno evidente che i renziani vogliono smarcarsi con una mossa a sorpresa. Fin dal 5 marzo, quando era ormai digerito il rospo dell'esito del voto, si è iniziato a parlare di un nuovo soggetto politico. Lo stesso passo indietro di Renzi, che ha portato Maurizio Martina alla guida del Partito democratico, è stato letto come segnale dello sciogliere i ranghi. Resta il fatto che l'eredità di Open non è soltanto nella buona riuscita degli eventi legati «riconversione» della stazione fiorentina della Leopolda.

E pensare che proprio la virtuosa gestione finanziaria e la trasparenza ne avevano fatto un faro nella galassia delle fondazioni politiche. Anche Openpolis l'aveva premiata. Ancor oggi sul sito della fondazione è visibile l'elenco dei finanziatori che in questi sei anni hanno reso possibile il lavoro di questo laboratorio politico. Tra questi spiccano il finanziere Davide Serra, l'armatore Vincenzo Onorato (sia a titolo personale che tramite la Moby spa), la British Tobacco e l'ex presidente della Fiat Paolo Fresco.

«Siamo la fondazione più trasparente», continua a ripetere con malcelato orgoglio il presidente Alberto Bianchi, che ora si appresta a convocare l'ultimo consiglio di amministrazione.

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