Politica

Ci lascia un Paese allo sfascio

La verità è che sono state distribuite tante mance, più o meno elettorali, che non sono, però, andate alla radice del problema

Ci lascia un Paese allo sfascio

Confusi e infelici. Avevano detto che dopo Renzi ci sarebbe stata l'apocalisse, con lo sconquasso in Borsa e una gelata in economia: per ora, fortunatamente, nulla sta succedendo di quanto avevano pronosticato autorevoli uffici-studi e certi soloni della City. In compenso, dobbiamo, invece, prendere atto ed è una specie di paradosso considerando che Matteo veniva considerato dai «signorsì» il toccasana di tutti i mali - del decorso con aggravamento della malattia che si chiama recessione e siamo pure costretti a farci pure carico delle macerie che ci ha lasciato in eredità il governo sul fronte economico: Mps un esempio tra i tanti.

Credo che l'ultima campagna referendaria abbia davvero superato le precedenti consultazioni elettorali in fatto di contraddizioni. Da una parte, infatti, hanno raccontato agli italiani in tutte le salse che non c'era alcuna alternativa, tanto che, alla fine, un certo numero di italiani ha preso per buono il menù di Stato che Palazzo Chigi apparecchiava quotidianamente; dall'altra sono subito arrivate le secche smentite dei dati congiunturali.

In realtà, già da parecchio tempo sarebbe stata sufficiente una verifica un po' più approfondita per rendersi conto che, in questi anni, siamo stati sommersi dal fumo. Cominciamo dagli stipendi degli italiani: metà delle famiglie può ora contare su un reddito netto mensile che non supera i duemila euro, per non parlare dei pensionati che, nella maggioranza dei casi, non supera quota 750. Il pan ci manca, con un italiano su quattro che rischia la povertà e con un potere d'acquisto tagliato del 12 per cento, ma la pressione fiscale non ha per nulla issato bandiera bianca perché non è praticamente diminuita, ma ha anzi toccato, al termine del 2015, il livello-record del 50,2 per cento sulle entrate. E che dire della disoccupazione? Dopo i tanti provvedimenti annunciati, è calata appena dello 0,1 per cento nel terzo trimestre del 2016: c'è poco da cantar vittoria. Senza, poi, considerare il numero dei giovani senza lavoro che ha superato il 35 per cento.

La verità è che sono state distribuite tante mance, più o meno elettorali, che non sono, però, andate alla radice del problema: le classiche «brioche» della regina Maria Antonietta. Insomma, dopo i mille giorni di Renzi sono restati mille nodi sul tappeto. Ne enumero qualcuno dei più intricati: dalla capacità produttiva che è calata di un quarto dall'inizio della Grande Recessione al debito pubblico-record nonostante i «diktat» della Ue; dal sistema bancario, ormai ridotto al collasso, all'euro diventato una camicia di forza per le nostre esportazioni; dall'allarme rosso dell'immigrazione al divario Nord-Sud sempre più profondo.

Ecco perché la scelta del Colle appare molto delicata. Ricordiamo tutti cosa accadde alla fine del 2011 con l'uomo in loden (Monti) solo al comando di un governo di tecnici, ma l'ipotesi di un esecutivo politico guidato da un addetto ai lavori che mastica economia non sarebbe da scartare a priori. Tra tante incognite, è comunque certo che, con la dote che Matteo lascia in eredità, l'Italia non può permettersi il lusso di fare il bis di un simil-Renzi, un improvvisatore a Palazzo Chigi.

E a Mattarella è proprio il caso di dire: Sergio, adelante cum juicio e niente trucchi, ci sono bastati quelli di Napolitano.

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