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Ci possono salvare la rabbia e l'orgoglio

I nostri polli si ravvedano e si trasformino in galli, decisi a non soccombere all'Isis e similari

Ci possono salvare la rabbia e l'orgoglio

Siamo tutti impressionati, spaventatissimi. In questi giorni, causa stordimento, non sappiamo come reagire alle violenze dei terroristi. Non abbiamo la lucidità necessaria per organizzare neppure le idee. Ma il peggio arriverà tra una settimana, quando, a esequie avvenute, saremo di nuovo travolti dalle nostre attività quotidiane e inghiottiti dalla routine: il lavoro, la famiglia, le tasse. Succede sempre così. Lentamente ci si dimentica anche dei morti ammazzati. È accaduto in passato, accadrà nel prossimo futuro.

Non importa che la Tunisia, dove è avvenuta la strage sulla spiaggia, sia a pochi chilometri dall'Italia e che Lione, dove hanno decapitato un francese, sia a due passi dai nostri confini. Ci consoliamo pensando che, in fondo, siamo stati risparmiati e confidiamo che il nostro stellone ci proteggerà ancora. Ci attacchiamo alle illusioni. Ma in cuor nostro siamo consapevoli che, prima o poi, avendo l'Isis e similari all'uscio di casa, saremo colpiti. Nel qual caso cadremo ancor di più in stato confusionale. O forse ci organizzeremo, benché sia difficile che un singolo Paese - la Francia insegna - sia in grado di predisporre un piano di protezione autonomo.

Servirebbe un'iniziativa europea. Già. Ma Bruxelles è simbolo di inefficienza, di impotenza; non è stata all'altezza di modulare l'immigrazione scoordinata, figuriamoci se le possiamo delegare l'arduo compito di arginare la prepotenza sanguinaria islamista. Essa non ha la mentalità e i mezzi per correre ai ripari. La preoccupazione principale della Ue è la stabilità finanziaria, la tutela dell'euro - giudicato stoltamente irreversibile, come la morte - e gli interessi del sistema bancario, considerato basilare. L'Europa non ha una politica estera, è priva di un esercito, non è un corpo omogeneo: è un agglomerato di nazioni che non hanno nulla in comune, ciascuna delle quali sopravvive piegandosi alla volontà della cancelliera Angela Merkel e di pochi altri papaveri.

Supporre poi che gli Stati Uniti siano pronti a fornirci un aiuto salvifico è assurdo, senza contare che da anni, ogni qualvolta sono intervenuti in Medio Oriente, hanno combinato solo disastri: basti citare le nefaste guerre in Irak e in Afghanistan. La verità è che siamo costretti ad arrangiarci in proprio. Abbiamo il coraggio e la forza di farlo? Per ora, non crediamo. Non siamo preparati né militarmente né psicologicamente. Inoltre, l'Italia è pervasa dalla cultura dell'integrazione, della multiculturalità, dell'accoglienza. Cui si aggiunge la tradizionale vocazione dei cattolici e dei buonisti di sinistra a ritenere che sia giusto ospitare tutti gli stranieri, indiscriminatamente, nella speranza che ciò ci preservi dagli attacchi dei fondamentalisti.

È improbabile che i nostri governi si attrezzino per i respingimenti e i rimpatri nonché per selezionare gli aventi diritto all'asilo politico e bocciare chi, invece, viene qui per altri motivi, compreso quello di complicarci la vita. Ovvio, auspichiamo che l'Europa cambi registro e si renda conto che il problema non è l'euro bensì l'Eurabia. Ma temiamo che questa sia un'ipotesi ottimistica ai limiti della dabbenaggine.

Conosciamo i nostri polli e supporre che si ravvedano e si trasformino in galli, decisi a non soccombere all'Isis e similari, è quasi surreale. Forse ci meritiamo quello che sta accadendo: dopo due guerre mondiali nel secolo scorso, il Vecchio Continente non ha il temperamento per affrontare la terza, che però è in atto e minaccia di ridurci a pezzi. Tra i nostri nemici, ci sono anche coloro che non hanno l'energia interiore per combattere contro chi pretende di annientarci.

Non resta che appellarsi a coloro che, oltre alla rabbia, hanno ancora una punta d'orgoglio.

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