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Cina e Canada ai ferri corti Mister Huawei rompe il silenzio «Non spio per il mio governo»

Manuela Gatti

Boicottati da Usa, Giappone, Australia e Nuova Zelanda perché accusati di essere un pericolo per la sicurezza nazionale. Una top manager, nonché figlia del fondatore, arrestata in Canada e un altro dirigente appena finito in manette in Polonia. Ren Zhengfei, patron del gigante cinese delle telecomunicazioni e dell'elettronica Huawei, il protagonista defilato della storia, ha deciso che era venuto il momento di prendere la parola. Non siamo spie del governo di Pechino, è il sunto dell'incontro concesso ieri ai media stranieri. Un'occasione rara - l'ultima intervista a una testata estera è del 2015 - ma dal tempismo non casuale: arriva nel mezzo dello scontro diplomatico tra Cina e Canada. Cominciato il 1° dicembre con il fermo di Meng Wanzhou, direttrice finanziaria del gruppo e primogenita di Ren, aggravatosi due giorni fa con la condanna a morte di un canadese in Cina e culminato ieri con l'invito che sia Pechino sia Ottawa hanno rivolto ai connazionali per scoraggiarli dal viaggiare nell'altro Paese.

«Non ho mai ricevuto alcuna richiesta da alcun governo di fornire informazioni improprie», ha spiegato il miliardario ai giornalisti riuniti nella prima sede dell'azienda a Shenzhen, Sud-Est della Cina. Ren, che ha lanciato Huawei con il corrispettivo di 3mila dollari e che per il 2019 prevede ricavi per 125 miliardi, prima di inventarsi imprenditore era un ingegnere dell'esercito cinese. È questa vicinanza con il regime, tessera di partito compresa, a far temere che Pechino possa spiare i governi occidentali attraverso reti e dispositivi Huawei. L'azienda, oltre ad aver superato Apple nella vendita di smartphone, è tra i principali fornitori al mondo delle componenti per la connessione mobile 5G. Anche in Italia, nelle aree di Milano e Bari-Matera, è Huawei che si sta occupando di svilupparla. «Amo la Cina, sostengo il partito comunista, ma non farò mai niente per danneggiare un altro Paese», ha proseguito Ren, spiegando che il suo gruppo non è mai stato coinvolto «in alcun serio incidente relativo alla sicurezza». La figlia Meng, arrestata in Canada su richiesta degli Usa, che ne chiedono l'estradizione, per presunte violazioni alle sanzioni all'Iran, gli manca «molto». Rilasciata su cauzione, non può uscire dal Paese. Nonostante questo Mr. Huawei ha elogiato Donald Trump - «È un grande presidente, ha il coraggio di tagliare le tasse» - aprendo anche alla possibilità di limitare i propri affari per venire incontro a chi non si fida: «Non siamo un'azienda pubblica, non abbiamo bisogno di grandi ricavi, possiamo ridimensionarci».

Il caso Meng, però, tiene alta la tensione tra Cina e Canada. Lunedì Pechino ha condannato a morte Robert Lloyd Schellenberg, 36 anni, accusato di traffico di droga, scatenando la reazione del premier Justin Trudeau, che ha parlato di sentenza «estremamente preoccupante». «Chiediamo al Canada di rispettare il diritto e la sovranità giudiziaria di Pechino», ha replicato una portavoce del ministero degli Esteri cinese. Dopodiché entrambi i Paesi hanno emesso un'identica allerta di viaggio nei confronti dell'altro.

È guerra diplomatica.

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