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Il "cittadino L"? Mai visto: ora nessuno conosce l'avvocato amico di tutti

Casaleggio nega la cena con il manager: «Era all'altro tavolo. Mai parlato di nomine»

Il "cittadino L"? Mai visto: ora nessuno conosce l'avvocato amico di tutti

Prima era l'uomo che risolveva i problemi dei Cinque Stelle. Dove c'era una difficoltà, da quando a Livorno aveva aiutato con successo il sindaco M5s Filippo Nogarin a gestire una complicata vicenda legata alla municipalizzata dei rifiuti, piazzavano lui, Luca Lanzalone, super avvocato genovese esperto di diritto delle società partecipate. A Roma era stato mandato per seguire il dossier stadio e piano piano aveva allargato sempre di più il suo raggio di azione, tanto da essere anche preso in considerazione per diventare premier al posto di Giuseppe Conte.

Poi è arrivato il terremoto giudiziario e il «cittadino L», novello Primo Greganti, ossia il famigerato «compagno G», si è trasformato in un virus da estirpare. Adesso nel mondo pentastellato viene considerato come colui che rischia di far perdere la verginità ai Cinque Stelle, finora talmente fissati con l'onestà da sacrificare le competenze in nome della trasparenza. Voci influenti, all'interno del Movimento, temono che le nuove vicende del Campidoglio possano ripercuotersi sull'esecutivo. Meglio smarcarsi. Anche Davide Casaleggio, presidente dell'Associazione Rousseau e figlio di Gianroberto, fondatore del Movimento, colui che si dice lo abbia scelto per affiancare la sindaca Virginia Raggi nella gestione del dossier stadio, prende le distanze. È stato detto di una cena a Roma, vicino al Senato, tra lui e Lanzalone otto ore prima che fosse arrestato, proprio nei giorni in cui i grillini stavano decidendo nomine importanti, tra cui quelle alla Rai. Casaleggio non nega, sa che non può farlo perché se Repubblica lo ha scritto avrà verificato le fonti. Ma ridimensiona la notizia: «È vero, ero nello stesso ristorante l'altra sera dov'era presente Lanzalone, ma ero a un altro tavolo. L'ho visto, l'ho salutato, perché lo conoscevo. L'ho conosciuto dopo la sua esperienza a Livorno, dove ha fatto un ottimo lavoro. E per quello è stata una scelta naturale fargli portare avanti un'attività anche su Roma. Se si è parlato di nomine? No, io non mi occupo di nomine».

Quella del consulente di fatto del Comune di Roma arrestato è una vicenda imbarazzante anche per il vicepremier Luigi Di Maio, che nell'immediatezza dei fatti, prima che si dimettesse dall'incarico di presidente Acea che lui stesso ha detto di avergli affidato come premio per aver sbloccato l'impasse sullo stadio, aveva invocato le sue dimissioni perché «per reati così gravi non esiste la presunzione di innocenza». Ieri, dopo che Il Fatto ha tirato nuovamente in ballo il ministro parlando di un comitato nomine di cui avrebbe fatto parte Lanzalone, Di Maio si è affrettato a smentirne l'esistenza, negando che al legale genovese fosse stato attribuito un qualche incarico. La Raggi non fa che ripetere come un mantra che Lanzalone glielo presentarono Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, uno scarica barile che pare abbia fatto irritare il neo ministro della Giustizia, che ha negato di aver mai imposto al Campidoglio l'avvocato esperto di societario, confidando ai suoi di non essere disposto a finire nel tritacarne mediatico.

Ma sei tra i Cinque Stelle è gara a tracciare un solco tra il Movimento e Lanzalone, anche nella Lega la vicenda dell'avvocato targato M5s che condizionava incarichi e si vantava, come risulta dalle carte dell'inchiesta, di «fare il governo», crea più di un imbarazzo. Soprattutto al sottosegretario del Carroccio Giancarlo Giorgetti, tirato in ballo in un'intercettazione per una cena a casa dell'imprenditore Luca Parnasi a cui avrebbe partecipato con Lanzalone. «Ma quale cena? Solo un aperitivo...un bicchiere di vino e qualche fetta di salame», ha detto ieri al Fatto. Nessun rapporto particolare: «Mi ha fatto credere che fosse l'avvocato di Grillo».

E dopo quella sera il leghista avrebbe rivisto l'avvocato soltanto una volta per caso allo stadio.

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