Cronache

Classica, estrosa, chic Il fascino discreto della camicia italiana

Quelle prodotte da noi? Etiche, comode e non prendono la piega neanche a morire

Classica, estrosa, chic Il fascino discreto della camicia italiana

Il costo reale di una camicia prodotta in Vietnam è un dollaro e mezzo. Quando arriva sul mercato europeo costa a dir tanto tre dollari perché bisogna pagare il dazio che è del 100 per cento. Comunque se te ne freghi di etica ed estetica, su un capo così puoi guadagnare parecchio perché i brutti tessuti che arrivano a provocare le dermatiti da contatto costano pochissimo e lo stipendio mensile di un operaio vietnamita è otto dollari, un po' meno del prezzo al pubblico in euro di una camicia sul mercato low cost.

Ecco perché sono solo da ammirare gli imprenditori italiani che ancora producono con tutti i sacri crismi di una sana e solida tradizione manifatturiera che esclude di default lo sfruttamento dei lavoratori come dei consumatori. È il caso per esempio di Paolo Xoccato, amministratore delegato di Xacus, storico marchio veneto della camiceria che in questi giorni sta esponendo al Pitti di Firenze un'infinita varietà di camicie. Le più nuove sono in jersey piquet confortevoli addosso quanto una T-shirt ma con ben altro aplomb e talmente apprezzate dai compratori che si prevede a breve un raddoppio delle vendite. Poi ci sono le Wrinkle Free che non prendono una piega neanche a morire ma a differenza delle vecchie camicie no-stiro non ti fanno sudare come una bestia perché il finissaggio che tiene il tessuto disteso è totalmente traspirante e applicato con una nanotecnologia. Strepitoso anche il popeline della capsule collection chiamata Riviera perché le grosse righe colorate fanno subito pensare ai nostri luoghi di mare, dove le vacanze si chiamano ancora villeggiatura. «A far la differenza in una camicia è il tessuto spiega Xoccato noi usiamo solo il meglio che ci sia: cotone coltivato alle Barbados oppure in riva al Nilo, la nicchia delle nicchie. In più prevediamo almeno 4 vestibilità e fino a 30 diversi colli per ogni collezione: un lavoro certosino».

Encomiabile anche il marchio Webb & Scott prodotto a Carpi dalla famiglia Gorgò che nel 1931 si è lanciata nell'avventura della camiceria e a questo Pitti presenta tutti i colli possibili e immaginabili su tre diversi temi di stampa e cromatismi: Key West-California, Marrakech e Saint Tropez. Bellissime le fantasie di Ganesh, marchio creato da Nicholas Borgi, l'inventore di Save the Duck. Da DNL torna la camicia kimono (una vestibilità degli anni Sessanta) e arriva la camicia-T-shirt con tanto di frange. Resta infatti da capire se la camicia può essere o meno portata senza cravatta (tutti dicono di sì e infatti abbondano i colli alla coreana un tempo invendibili) e, soprattutto, se è un capo indossabile nel tempo libero. «Che è sempre più dilatato per lo meno a livello di testa» dicono nello stand di Manuel Ritz dove lanciano la collezione Play fatta prevalentemente da felpe, T-shirt e polo a tutto colore. Insomma, un universo giocoso e positivo in cui s'inserisce una capsule di T-shirt create da Fabrizio Sclavi con garbate caricature di icone degli anni Novanta. Harmont & Blaine ripropone la polo con colletto in tessuto da camicia, un classico creato nel 1997 dal marchio del bassotto.

Invece da Cruciani c'è una stupenda tuta in maglia piquet di cotone stretch blu che, su una bella camicia di lino bianca, è chic quanto un abito sartoriale.

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