Cronache

Clochard ucciso per noia. Ma i due minorenni non andranno in carcere

I ragazzini diedero fuoco a un senzatetto Il nipote: «La vita di mio zio vale meno di zero»

Clochard ucciso per noia. Ma i due minorenni non andranno in carcere

Hanno bruciato un clochard per noia. Non sapevano che fare e quel giorno hanno pensato bene di dargli fuoco e di guardarlo mentre ardeva vivo nella sua auto.

Eppure i due minorenni non sconteranno un giorno di carcere. Il primo dei due, che il 13 dicembre 2017 aveva 13 anni, ha scampato subito la pena, perché non è imputabile per età. Il secondo, invece, che compirà 18 anni solo a novembre, è comparso davanti al Tribunale dei minorenni di Venezia per rispondere di omicidio, ma il giudice ha sospeso il processo e ha scelto la strada della «messa alla prova». Continuerà quindi a vivere nella comunità che lo ospita da mesi e il reato per lui sarà dichiarato estinto se per tre anni terrà un corretto comportamento.

Ahmed Fdil, noto a tutti come «Il Baffo», clochard marocchino da 35 anni in Italia, viveva nella sua auto a Santa Maria di Zevio, nel Veronese, perché aveva perso il lavoro, dopo essere stato impiegato per anni in fabbrica. Quel giorno i due minorenni diedero fuoco ad alcuni pezzi di carta e li gettarono dentro l'abitacolo della vettura, una carcassa senza vetri, che si trasformò in una trappola di fuoco.

«Per la Giustizia italiana ha detto il nipote Salah Fdil, arrivato da Barcellona per seguire il processo la vita di mio zio vale meno di zero». Proteste che gli sono costate l'allontanamento dall'aula.

Nelle ore successive alla tragedia si pensò a un incidente. «Il Baffo» amava bere e fumare e in paese lo sapevano tutti. Ma gli investigatori ci hanno messo poco a seguire la pista giusta e scoprire che il clochard da tempo era nel mirino di qualche ragazzino che lo tormentava.

Un insegnante di scuola media racconta ai carabinieri quello che alcuni studenti gli avevano confidato ovvero che un compagno «prendeva spesso di mira il senzatetto deceduto nel rogo» arrivando a rubargli i soldi dell'elemosina. Così i militari sono arrivati al tredicenne e al diciassettenne che si sono rimbalzati le responsabilità.

Agli atti dell'inchiesta è finita anche la registrazione di una conversazione tra loro due. «Perché l'hai bruciato?», gli chiede il 17enne. «Non ci sono le prove», ribatte l'amico. E quando quest'ultimo gli dice che vorrebbe farsi un tatuaggio «...qualcosa con significato, non che sia a caso... voglio la morte in faccia». Il maggior risponde: «Ti faccio vedere il Baffo, così ti ricordi che hai ammazzato un barbone». E poi lo incalza: «Tanto il tuo sogno l'hai realizzato (...) quando eravamo dal kebabbaro cosa mi hai detto? Ho realizzato il mio sogno di ammazzare una persona». Ma l'amichetto nega: «Il mio sogno era ammazzare un gatto». Come se davvero non ci fosse alcuna differenza.

«Questa decisione del Tribunale non me l'aspettavo ma la rispetto», ha detto l'avvocato Alessandra Bocchi, che tutela i familiari della vittima, che non si sono potuti costituire parte civile perché la legge non lo ammette nei processi con imputati minorenni.

«Prendiamo atto dell'ordinanza - ha aggiunto il legale - tuttavia, considerato il tipo di reato, ovvero l'omicidio volontario aggravato dalla minorata difesa, secondo noi si sarebbe potuti arrivare a sentenza».

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