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Da "colata di cemento" al via libera. Il blitz di Grillo e la giravolta grillina

Così la Raggi cambiò idea sull'"opera utile". Espulso chi criticava

Da "colata di cemento" al via libera. Il blitz di Grillo e la giravolta grillina

Roma - La svolta sullo stadio a Roma avviene quando cala nella capitale Beppe Grillo. Il 20 febbraio 2017 piomba in Campidoglio e prende in mano la situazione, piega la sindaca che si oppone. Partecipa alla riunione con la Raggi, Davide Casaleggio, il vicesindaco Luca Bergamo, la presidente della commissione Urbanistica Donatella Iorio e l'avvocato che supporta il Comune nel dossier, quel Luca Lanzalone poi diventato presidente dell'Acea e ieri arrestato.

Il via libera del Fondatore, però, arriva dopo varie giravolte. Prima spiega che la location giusta non è Tor di Valle: «Diciamo di sì ma in una parte che non sia quella, è meglio una zona che non esonda». Spiega anche: «Prima sentiremo la popolazione interessata dal progetto tramite referendum e con loro potremo costruire una cosa straordinaria». Il garante del M5S annuncia: «Sul progetto non faremo una scelta tra un palazzinaro e un altro: sarà un altro tipo di scelta, in sintonia con il Movimento». Per palazzinaro chi intende, il costruttore Luca Parnasi?

È lui che protesta contro lo stop, dopo 5 anni di lavori su un progetto in stato avanzato di approvazione. Le modifiche per cercare di accontentare tutti improvvisamente convincono Grillo e la Raggi. Due giorni dopo le sue prime dichiarazioni, Beppe annuncia che lo stadio si farà proprio a Tor di Valle, lo costruirà Parnasi e il referendum è saltato. Dove sono finiti i «criteri innovativi e condivisi» tanto sbandierati? Che ne è dell'impegno: «Il consumo di suolo per generare oneri e servizi non può essere il motore continuo di sviluppo». Grillo si scagliava contro le torri previste nel primo progetto e, una volta abolite quelle, canta il peana all'architettura orizzontale.

Soprattutto, zittisce chi, tra i suoi, solleva obiezioni. Perché il Movimento è spaccato e i critici sono guidati dalla «pasionaria» Roberta Lombardi. Con i consiglieri David Porrello e Gianluca Perilli chiedono un parere pro veritate al presidente onorario aggiunto della Cassazione Ferdinando Imposimato. Lui sostiene l'annullamento d'ufficio della delibera sul pubblico interesse dell'opera, per abbattere il rischio di una megamulta per danno erariale. Si va avanti con il progetto a cubature ridotte. La Lombardi, in un post su Facebook boccia anche quello, parlando di «grande colata di cemento». Dal blog arriva il fulmine di Grillo: «Decidono la giunta e i consiglieri, i parlamentari pensino al loro lavoro». L'ordine è chiaro: lo stadio si deve fare. E in Campidoglio il garante del progetto è Lanzalone, che inizia a spadroneggiare senza avere alcun incarico ufficiale. Un'interrogazione urgente dell'opposizione chiede alla Raggi a quale nome parli e comandi. Lei lo difende, è l'uomo di Grillo, come si sente anche nelle intercettazioni. Il superlegale mandato dal Fondatore e da Casaleggio fa pressing sui consiglieri perché non si oppongano, spaventandoli anche con la sanzione economica. Un parere dell'Avvocatura capitolina inspiegabilmente viene secretato e nessuno tranne la Raggi lo può leggere. Salta la testa della consigliera Cristina Grancio, critica sullo stadio, che lo sollecitava.

Tutto è gestito dai fedelissimi della Raggi, con la benedizione di Beppe e senza trasparenza.

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