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Il Colle non dà proroghe: nome autorevole o voto

Il Presidente Mattarella attende la proposta ufficiale e il testo del contratto. Test decisivo domani al Quirinale

Il Colle non dà proroghe: nome autorevole o voto

Conte chi? Non sarà mica Antonio, l’allenatore del Chelsea? La battuta fa ridere, dicono sul Colle, guai però ad accostarla a Mattarella o a qualcuno dello staff presidenziale. Il capo dello Stato infatti comincerà a valutare i profili soltanto domani, quando Di Maio e Salvini saliranno con l’accordo in mano e la proposta sarà ufficiale. Prima niente, quei nomi che girano lui non vuole nemmeno ascoltarli. E le anticipazioni sono «indiscrezioni prive di fondamento». Ma una cosa appare certa: secondo il Quirinale a Palazzo Chigi deve andarci una persona autorevole e politicamente forte, non una figura sbiadita, sia pur di prestigio.

Il presidente del Consiglio è l’uomo che ha in mano il potere esecutivo. Non può telefonare tutte le mattine a Matteo e Giggino e chiedere il permesso prima di fare qualunque mossa. Questa considerazione taglia fuori dalla corsa i numeri due o tre di M5s, che nelle ultime ore sembravano in ascesa. Chi resta? Uno dei due leader (Di Maio?) o un tecnico di area purché di altissimo livello, stimato all’estero e ben conosciuto dalla gente, uno capace di governare reggendo la pressione delle spinte contrapposte che gli arriveranno da entrambi i versanti. Il prescelto dovrà quindi essere il frutto di una mediazione politica e non di un compromesso «al ribasso» tra Lega e Cinque stelle. Riusciranno ad accordarsi? C’è di più. Insieme al candidato, Di Maio e Salvini dovranno presentarsi con il «contratto» nella sua versione definitiva.

Basta con le bozze strampalate, serve un programma vero di governo. Occorre cioè tutto il pacchetto: il premier condiviso in grado di assumersi una responsabilità importante come la guida di una nazione, i punti d’intesa sulle cose da fare, le relative coperture finanziarie. Sarà un programma che rivolterà l’Italia? Sarà un libro dei sogni? Dal punto di vista delle prerogative del Colle poco importa, quello che conta è che si rispettino la sostenibilità economica delle misure previste, gli impegni europei e gli accordi internazionali. Domani dunque, salvo sorprese, sarà il giorno della verità. Se Salvini e Di Maio non arriveranno con il patto sottoscritto, è molto difficile che ottengano altro tempo: loro stessi del resto lo hanno escluso. Non rimarrebbe altra strada che il governo elettorale per votare in autunno.

Se invece avranno stretto l’intesa, allora la procedura per il governo Jamaica potrà mettersi in moto. Quindi, se il personaggio concordato gli andrà bene, Sergio Mattarella lo convocherà per conferigli il mandato. L’incaricato accetterà con riserva, farà i suoi passi, poi tornerà sul Colle per sciogliere la riserva e presentare la lista. I ministri, come prevede la Costituzione, dovranno essere concordati con il capo dello Stato, che vorrà certamente dire la sua su alcune caselle chiave: Esteri, Interno, Economia, Difesa. Il percorso è questo e il presidente non vuole «fughe in avanti». Così, non deve aver molto gradito le ultime «sgrammaticature istituzionali » di Luigi Di Maio. «Nelle prossime ore avrete nomi e squadra», dice il capo politico dei grillini, peccato che dei ministri Mattarella ne parlerà solo con il premier incaricato.

Ci sarà un «vaglio scrupoloso », assicurano dal Quirinale, ma «nessun veto o pregiudizio», nemmeno per Salvini al Viminale, purché ci sia la garanzia del rispetto dei principi fondamentali della Repubblica.

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