Politica

Coltellate e tradimenti per vent'anni E ora osano parlare di «nuovo Ulivo»

Dagli sgambetti a Prodi alle inchieste su D'Alema... Sempre loro

Paolo Bracalini

Più che un ulivo è una giungla. L'idea di una riedizione del vecchio contenitore prodiano rinvigorisce gli animi nella sinistra antirenziana ma rischia di scontrarsi col curriculum degli aderenti. Molti dei quali hanno alle spalle una lunga storia di coltellate reciproche, guerre personali, tradimenti e voltafaccia che non lasciano sperare in una grande coesione interna (proprio come l'Ulivo originale, peraltro). Ruggini e rancori che con gli anni peggiorano, non migliorano. Un quadretto efficace lo twitta il giornalista ultrarenziano Fabrizio Rondolino, già consigliere a Palazzo Chigi dell'allora premier Massimo D'Alema, motore immobile del nuovo Ulivo: «D'Alema guidò i 101 contro Prodi perché Bersani gli aveva impedito di candidarsi al Quirinale. Emiliano pm indagò intorno a D'Alema, Emiliano sindaco si fece eleggere da D'Alema (e poi diventò renziano). Vendola fece un accordo con Bersani nel 2013 e lo ruppe il giorno dopo il voto. Giusto per avere un'idea di come sarà il nuovo Ulivo». Per Romano Prodi, padre nobile interessato al progetto («L'esperienza del centrosinistra unito non è irripetibile»), il siluramento della sua candidatura al Quirinale nel 2013 è una ferita ancora aperta, e nelle memorie del professore la telefonata cruciale fu proprio quella con D'Alema (che gelido gli disse: «Queste decisioni così importanti dovrebbero essere prese coinvolgendo i massimi dirigenti»). L'ex segretario Ds ha smentito come «un'idiozia pensare ci sia io dietro i 101 che votarono contro Prodi», magari per un'ambizione personale ostacolata proprio da Prodi, ma certo le premesse per un'alleanza non sono le migliori. Anche Michele Emiliano, governatore pugliese e papabile leader dell'«Ulivo 4.0» in salsa dalemian-bersaniana, ha avuto rapporti difficili con i nuovi compagni di strada. Prima di invaghirsi, seppure brevemente, per Renzi, l'ex pm barese aveva già sepolto la segreteria Bersani, «perché il Pd - spiegò in radio scatenando un mezzo putiferio - avrebbe bisogno di un capo carismatico, di una leadership forte, che non ha con Bersani», a cui Emiliano consigliò, dopo la mezza vittoria del Pd nel 2013, di capitolare accettando «un governo M5S». E pure di Vendola, un altro dei leader della sinistra revanscista in cerca di approdo, Emiliano previde la prematura scomparsa politica: «Per Vendola inizia una lunga traversata nel deserto, non è più il suo momento», lo affossò qualche anno fa. E con D'Alema? Peggio ancora. Fu proprio il pm Emiliano a condurre l'inchiesta «Arcobaleno» sugli aiuti inviati dal governo D'Alema in favore dei profughi del Kosovo, che portò ad una raffica di arresti e mise in seria difficoltà Palazzo Chigi. Di D'Alema ha detto «tutte le cose hanno un inizio e una fine», invitandolo insomma a godere della pensione, ma dopo aver visto in Renzi l'unico leader del Pd, ora trova che «D'Alema a differenza di Renzi non lavora per la carriera ma per restituire all'Italia e alla sinistra una prospettiva».

Il contenitore, almeno nelle bozze iniziali, è molto aperto, anche troppo. Il sindaco Pd di Bologna (origini Pci e trafila tra Ds e pure Cgil) Virginio Merola, promotore su scala locale del nuovo Ulivo, vuole aprire anche all'ex grillino Federico Pizzarotti, sindaco di Parma, città dove però il Pd è all'opposizione.

E poi c'è anche Luigi de Magistris, che secondo Vendola va pure coinvolto, oltre agli ex M5s, perché «un movimento popolare di riscossa della sinistra che vada da D'Alema a de Magistris e metta insieme le esperienze di chi ha resistito a sinistra, può diventare punto di riferimento e speranza di milioni di italiani». Sorvolando sul fatto che furono proprio le inchieste di de Magistris, allora rampante pm, a far crollare il governo prodiano, di cui D'Alema era vicepremier.

Grandi manovre a sinistra, ma a forte rischio collisione.

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