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il commento 2

Quattro anni dopo. Ricorreva ieri l'anniversario triste della morte di Yara Gambirasio: 26 novembre 2010. Quattro anni di strazio, appelli quasi silenti ma più forti di un boato, delusioni. Poi la svolta. Quella che da sei mesi per la procura di Bergamo avrebbe chiuso il caso. Ovvero un Dna a cui dare nome e cognome. Per gli investigatori non ci sarebbero dubbi. L'assassino è lui, Massimo Bossetti, 44 anni, padre di tre figli e una moglie forse troppo bella per un semplice carpentiere. Un quadro indiziario lo accusa. Persino la certezza sulla validità del test genetico è stata messa in dubbio dagli stessi esperti del Ris. Eppure questi indizi, questi sospetti agli investigatori sembrano bastare. Non solo per tenere il presunto mostro in cella, ma per dichiararne la sicura colpevolezza. Suonano così come una preghiera sommessa rivolta agli inquirenti le parole pronunciate ieri dai genitori di Yara: «Noi non vogliamo un colpevole, ma il colpevole». Tra le righe si coglie un delicato invito alla prudenza, una breccia che mette in forse le granitiche convinzioni dell'accusa. Mamma Maura e papà Fulvio Gambirasio, sono i primi a non voler vendetta.

Solo giustizia.

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