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L'8 marzo degli ipocriti, vale per tutte le donne ma non per le soubrette

Oggi è l'8 marzo, la festa della donna. Una giornata densa di significato che non può trascorrere invano. In fondo, siamo donne e abbiamo titolo a parlare delle donne

L'8 marzo degli ipocriti, vale per tutte le donne ma non per le soubrette

Oggi è l'8 marzo, la festa della donna. Una giornata densa di significato che non può trascorrere invano. Né tantomeno esser piegata ad argomenti triviali, financo volgari, roba da patonza che deve girare e simili amenità. La giornata richiede contegno. «Essere donna è affascinante. Siamo un mondo in evoluzione», ho letto così su un giornalone e mi ha quasi convinto. In fondo, siamo donne e abbiamo titolo a parlare delle donne. Chi meglio di noi può parlare delle donne? Alla stregua di neri, albini e disabili: ognuno parla per sé. E non stupisce la petizione indirizzata ad Apple per introdurre le «faccine» con i capelli rossi. La discriminazione non è soltanto questione di genere. Ché poi il sesso, pene o vagina, con cui si viene al mondo è fatto puramente casuale, contingente, una delle mille proprietà che rendono ciascuno di noi quello che è.

Allora, siccome di gender gap , tetti di cristallo e politiche di conciliazione leggerete altrove, qui parliamo soltanto di patonza che deve girare. Linguaggio scurrile, abominevole, di quelle cose che due maschi rispettabili al telefono non si direbbero mai. Le donne, figuriamoci: certi pensieri sconci a loro non si addicono. Eppure, sarà che noi viviamo su un altro pianeta, ma in questa giornata al profumo di mimosa un paio di riflessioni «eccentriche» vogliamo proporvele. Nel «pornoprocesso» attorno alle scopate vere o presunte dell'ex presidente del Consiglio la vittima numero uno è stata la donna. Stritolate nella macchina inquisitoria che non lesina intercettazioni a strascico, pedinamenti e perquisizioni, una trentina di ragazze sono chiamate in aula in qualità di testimoni e interrogate su questioni ad elevato tasso penale. Un esempio? «Sia gentile, descriva nel dettaglio l'abbigliamento burlesque per facilitarci la comprensione». «Si è mai fatta toccare nelle parti intime, ovvero seno, vagina, fondoschiena?». «Lei indossava un perizoma color carne. Può confermare?». «Gli spogliarelli avvenivano su richiesta o su base volontaria?». «Ha visto palpeggiamenti? Ha assistito a interazioni connotate da contatti lascivi?». «Il fatto di partecipare a queste cene portava ricchezza intellettuale?». Non è uno scherzo. Siamo a Milano, non a Kabul. Uno spettacolo talebano da far venir voglia di urlare a squarciagola: siamo tutti puttane. Intercettateci tutti, perquisiteci fin dentro le mutande per elargire le patenti di «sante» e «puttane». Ma state attenti: potrebbero esserci sorprese.

E l'establishment pseudofemminista italiano si è piegato al gioco macabro e maschilista: sante noi, puttane loro. Come se non bastasse, a pochi giorni dalla discussione dell' affaire Ruby in Cassazione, il pornoprocesso mediatico trae nuova linfa dalla diffusione di intercettazioni baresi note e stranote perché già pubblicate quando erano ancora coperte dal segreto istruttorio. Persino gli amanti del genere si domandano: ma qual è il reato? Quali sono gli elementi penalmente rilevanti? E mentre si ciancia di riforma dell'udienza filtro, una messinscena nata morta, la reputazione di decine di donne, sulle quali non grava la benché minima imputazione giudiziaria, viene ingoiata, masticata e sputata dal Grande Inquisitore. Ecco, le dotte analiste che discettano di «gender pay gap» comprendono il valore della parola «privacy»? Oppure la soubrette che fa l'altalena tra i tronisti di Canale 5 e il prossimo reality tv non merita cotanta attenzione? In fondo, diciamolo, se l'è cercata. Poteva starsene a casa a leggere le sapienti articolesse delle nostre pseudofemministe, a coltivare ben più alte ambizioni. Invece andava a cena dal tycoon. Dimenticavo: «Essere donna è affascinante.

Siamo un mondo in evoluzione».

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