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Compagni evasori. Così i circoli Arci non pagano le tasse

La metà dei bar dei circoli vende cibo e bibite a chi non ha la tessera. In questo modo evade le tasse, facendo concorrenza sleale

Compagni evasori. Così i circoli Arci non pagano le tasse

“Lotta contro il fascismo comunque esso si manifesti”: è il principio scritto negli statuti dei circoli Arci di tutta Italia. A quanto pare, però, l'Arci preferisce combattere le tasse e gli scontrini.Che non emette.

L’associazionismo di sinistra, un po’ radical-chic e un po’ antagonista, infatti, durante sue “iniziative di socializzazione” evade le tasse. Tanto a nessuno verrà mai in mente di andare a sindacare l’opera di un circolo Arci, di chiedere per quale motivo vende cibo e bevande anche a chi non è socio, facendo concorrenza sleale ai commercianti della zona, senza emettere scontrini e senza pagare le gabelle che i normali imprenditori sono costretti a versare. La sinistra italiana predica bene e razzola male: si accanisce contro i commercianti e poi truffa quotidianamente lo Stato.

Com’è noto, molti dei circoli ricreativi “che si riconoscono nei valori della democrazia e della resistenza” accompagnano le loro iniziative con l'apertura di bar. Nel farlo, però, più della metà si lascia andare ad infrazioni che trasformano il piccolo esercizio riservato ai soci in una attività imprenditoriale (molto) remunerativa. Una ricca fonte di finanziamento illecita.

Sono più di 12 le tipologie di infrazioni che i bar dei circoli Arci commettono ogni giorno. Infrazioni che, visti gli enormi vantaggi fiscali di cui possono godere in termini di aliquote fiscali, concessione degli edifici ed orari di apertura, significano un vantaggio sugli altri esercizi commerciali che può diventare enorme. Da concorrenza sleale. Non è difficile dimostrare quanto detto. Basta entrare - come abbiamo fatto - in un qualsiasi circolo che abbia un bar, e chiedere da bere. Se non si ha la tessera, la risposta del barista dovrebbe essere: “Ci dispiace, ma non possiamo darle nulla”. Questo non accade mai, e così i circoli si intascano migliaia di euro senza emettere nemmeno un scontrino.

La legge parla chiaro: un circolo Arci può tenere un bar aperto solo se rispetta determinate caratteristiche. Il locale deve essere all’interno della sede del circolo, non deve avere accessi a strade o piazze pubbliche e non devono esserci insegne che ne pubblicizzino l’attività commerciale. Semplice: non si deve fare concorrenza a chi sopravvive facendo caffè e vendendo cornetti. Ma ci sono altre regole: l’attività del bar, infatti, dovrebbe accompagnare gli eventi del circolo, l’ingresso dovrebbe essere riservato ai soli soci e i prezzi dovrebbero essere inferiori ai prezzi di mercato. Il condizionale, però, è d’obbligo.

Come documentato, infatti, nessuno dei circoli Arci che il cronista ha visitato rispetta queste norme. E non è un caso: una ricerca condotta della LGdata Srl su un campione di 645 casi dimostra come la maggioranza dei circoli tenga aperti i bar in maniera del tutto illegale. L’82% ha l'accesso sulla via pubblica, il 43% somministra bevande all'esterno dei locali e il 93% pubblicizza l’attività con belle insegne luminose montate sopra i tetti. Ancora: il 55% non espone i prezzi e più del 90% vende le bottigliette d’acqua a prezzi di mercato, quando dovrebbe metterle a disposizione dei soci chiedendo loro poco più di quanto le hanno pagate dai fornitori. Infine, c’è quel 46% di “circoli senza alcuna finalità di lucro” che vende cornetti e gelati anche a chi non si è iscritto. In questo modo, e senza emettere alcuno scontrino fiscale, l'Arci intasca centinaia di migliaia di euro. Di pura evasione. La scusa che utilizzano i gestori è sempre la stessa: "Non siamo tenuti ad emettere scontrini". Ma questo vale solo per quanto venduto ai soci: tutto il resto è attività illegale. Cioè evasione.

Nelle “regioni rosse” i numeri peggiori. Zone dove il potere politico e i direttivi degli Arci sono ben integrati. Un legame che in Emilia Romagna, Umbria e Toscana si è consolidato, tanto che i circoli godono della totale impunità. Eppure, se volessero, i vari Vasco Errani, Catiuscia Marini e Enrico Rossi non avrebbero grosse difficoltà a scovare i malviventi, visto che nella maggioranza dei casi nello stesso stabile dei circoli Arci è sempre presente una sezione del Pd. Il caso di Bologna è emblematico: nel capoluogo emiliano e provincia sono in forza 110 circoli Arci, molti dei quali dotati di bar. “Qui a Bologna, città cuore del potere rosso – ci racconta Marco Lisei, consigliere comunale di Fi a Bologna - tutto va bene quando hai una tessera del Pd in tasca, mentre se sei un povero commerciante devi morire di tasse. Gli Arci godono di immobili pubblici gratuiti, ricevono finanziamenti e alcuni circoli sono delle vere e proprie imprese milionarie che iscrivono a bilancio entrare per milioni. Questo è il potere dei comunisti in Emilia. Ora occorrono più controlli: per questo mi impegnerò in consiglio comunale”.

Quello delle Arci, infatti, è un sistema d’affari e di evasione che può contare 1.115.000 soci e 4867 circoli diffusi su tutto il territorio nazionale. Bar e affini arrivano a “fatturare” anche 5,5 miliardi di euro l’anno, tra evasione e vendite a regime fiscale agevolato. Poi ci sono gli spettacoli, che dovrebbero essere riservati ai tesserati ma che diventano un modo per raccogliere altri soldi. Le tessere, infatti, vengono fatte acquistare direttamente all'ingresso: anche questa una pratica illegale. I dipendenti, poi, vengono pagati regolarmente di nascosto dal fisco: “Mi davano 100 euro a serata – ci racconta Chiara, che ha fatto la barista in un circolo a Ferrara – e mi pagavano in nero, ovviamente”. Nero come quel fascismo che l'Arci avrebbe voluto combattere.

E che invece evade “democraticamente” le tasse.

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