Economia

Dalla Confindustria una doccia gelata sul Pil

«Italia maglia nera in Europa»: nel quarto trimestre +0,1%. Il voto fonte d'incertezza

Dalla Confindustria una doccia gelata sul Pil

«La prossima scadenza foriera di incertezza è il referendum costituzionale italiano». Preso in mezzo tra un Vincenzo Boccia schieratissimo a favore del «Sì» e i malumori di quella parte di imprenditori che non ha gradito l'outing presidenziale, il Centro Studi di Confindustria (Csc) se la cava con una battuta un po' lapalissiana. Giudizio sospeso.

Meglio così, visto che gli studiosi di viale dell'Astronomia sono più bravi coi numeri. È lì, dalle ultime cifre contenute nella congiuntura flash, che si capisce meglio l'aria che tira sull'Italia. Non tanto dalla citata ascesa dello spread fino a quota 190 (186 ieri) proprio a causa degli interrogativi sull'esito referendario, quanto dalla stima sul Pil, destinato a non crescere oltre lo 0,1% nel quarto trimestre dopo il +0,3% di luglio settembre. «Fanalino di coda» dell'Europa, sentenzia il Csc. Se gli altri Paesi dell'eurozona hanno ripreso a marciare e mostrano «un'inattesa vivacità» grazie anche agli assist della Bce, la penisola è ancora impaludata, incapace di rimettere insieme i cocci dei consumi frantumati dalla crisi e di riavviare il motore dei prestiti alle imprese. L'occupazione «in rapido aumento e i maggiori salari reali sostengono il reddito delle famiglie italiane, che rimangono prudenti nella spesa». Come si spiega quest'approccio cauto, peraltro confermato dai dati di ieri sul calo delle vendite al dettaglio (-0,6% in settembre)? Con « l'accresciuta incertezza che alimenta il risparmio», è la risposta confindustriale. Incertezza non legata alla politica, ma generale, prospettica. Infatti: «Tra i consumatori la fiducia è diminuita per il terzo mese di fila, a causa del peggioramento dei giudizi sul clima personale e corrente». Del «doman non v'è certezza»: ecco perché bisogna attendersi un «atteggiamento parsimonioso» delle famiglie anche in autunno.

E di questo blocco da acquisti soffrono le imprese più radicate sul territorio nazionale, anche se i dati Istat sono un campanello d'allarme generale: in settembre il fatturato è crollato del 4,6% e, soprattutto, è collassato quel barometro sull'attività futura che sono gli ordinativi, un -6,8% che si riverbererà sulla produzione dei prossimi mesi. Le imprese devono inoltre fare i conti con «l'handicap della contrazione del credito», rileva la Confindustria. Secondo cui sta salendo la quota di aziende «cui sono negati i prestiti richiesti». Un mondo diverso rispetto a quello immaginato dal capo della Bce, Mario Draghi, quando ha deciso di azzerare i tassi e finanziare sostanzialmente gratis le banche con le aste di liquidità Ltro e Tltro. «Il principale freno al credito - spiega Csc - rimane l'enorme peso delle sofferenze accumulate nei bilanci bancari a causa della doppia recessione: 142 miliardi di euro a settembre (18,5% dei prestiti alle imprese), picco a 144 a gennaio». Le misure messe in campo (Atlante, Gacs, minor tempo di recupero) sono solo riuscite a stabilizzare le sofferenze, «non ancora a ridurle in modo significativo».

E sul braccino corto delle banche pesa anche la «debolezza delle loro azioni in Borsa: -58% dall'estate 2015».

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