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Consip, l'avviso di Renzi: "Su papà non finisce qui"

L'ex premier: "Il babbo pedinato come un camorrista. Se hanno manomesso le prove è stato un atto eversivo"

Consip, l'avviso di Renzi: "Su papà non finisce qui"

«Su mio padre non finisce qui», promette Matteo Renzi. «Se verrà dimostrato il sospetto della Procura di Roma, secondo cui ci sono state manomissioni di prove contro il presidente del Consiglio in carica, siamo di fronte ad un atto tecnicamente eversivo». Nel giorno in cui un quotidiano («sempre lo stesso, guarda caso», e ovviamente si tratta del Fatto Quotidiano), riceve e volentieri pubblica l'ennesima intercettazione - priva di rilevanza penale - tra Matteo Renzi e suo padre, il leader del Pd è protagonista di un evento pubblico al Caffè della Versiliana.

L'occasione è la presentazione - l'ennesima - del suo libro Avanti, e il direttore della Stampa Maurizio Molinari, che lo intervista, non può esimersi dalla domanda sulla torbida inchiesta Consip, e su che effetto gli faccia ritrovarsi per l'ennesima volta le sue conversazioni private e familiari sbattute in prima pagina. Renzi non si tira indietro, racconta i «momenti molto difficili» vissuti dalla sua famiglia a causa dell'inchiesta, confida di «vergognarsi» di «aver dubitato» di suo padre, accusato sui giornali e «pedinato come un camorrista». Chiede: «Quanta violenza c'è stata in questa vicenda?». Interroga: «Perché si pubblicano intercettazioni a rilascio continuo che non hanno alcuna rilevanza penale? E perché eravamo intercettati, visto che non eravamo indagati? Mi auguro che i responsabili sappiano dimostrare che era tutto legittimo. Noi non abbiamo fretta né paura, e li aspettiamo in tribunale». Una cosa è certa: «Questa storia per noi non finisce qui», e «sono curioso di vedere cosa accadrà se tra qualche mese mio padre, per la seconda volta, vedrà archiviate le accuse nei suoi confronti».

Ma il cuore del problema, ripete, non è questo, bensì quel terribile sospetto che ci siano state «falsificazioni» e «manomissioni» di prove allo scopo - «eversivo» - di colpire e possibilmente affondare un presidente del Consiglio in carica. Per fortuna, rileva con una battuta, nel farlo «hanno lasciato più tracce di Pollicino».

L'intervista però è a tutto campo, sui temi della politica, e Molinari sottopone subito a Renzi il caso Macron. L'ex premier però premette che lo sport del tiro al francese non gli piace: «Ciò che sta facendo Macron era previsto e prevedibile: sta facendo l'interesse del suo Paese, io non ho nulla contro di lui. Da me non avrete una parola contro Macron», spiega. Il presidente francese «sta facendo una battaglia su Fincantieri, che le regole Ue consentono. Come consentono a noi di farne su altre partite». Il problema, se mai, è che l'Italia, «come avevamo avvertito, vive un periodo di debolezza dopo il referendum». Anche se, assicura, «l'Italia non è finita, io sono ottimista, ma c'è ancora molto da fare». E per questo, sottolinea, bisogna evitare che finisca in mano ad un fronte populista, che «propone referendum sull'euro che ci farebbero sbranare dai mercati, e che sostengono che gli Usa non sono mai andati sulla luna». Il Pd, ripete, è «oggettivamente la diga contro il populismo». E avverte chi dentro il partito «si lamenta» che fuori dal Pd «non c'è la rivoluzione socialista, ma Grillo e la Lega». È l'unica concessione alle polemiche interne: «Basta parlare di correnti, parliamo dei problemi». Con Berlusconi è ironico: «Ha governato per 3.000 giorni, perché non ha provato a fare tutte le cose che ora propone, a cominciare dalla flat tax?». Ma su quella riforma fiscale, dice «non chiudo la porta: ci sono aspetti positivi e negativi, discutiamone.

Ma poi le cose bisogna farle, non basta chiacchierare».

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