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Conte bussa alle partecipate ma porta a casa molto poco

Incontro con i vertici delle spa pubbliche: più assunti grazie a quota 100. Sugli investimenti c'è freddezza

Conte bussa alle partecipate ma porta a casa molto poco

Le partecipazioni statali come volano dell'economia e anche come sbocco per la domanda di posti di lavoro. La grande novità del governo del cambiamento è un ritorno ai vecchi tempi del pentapartito, del tandem De Mita-Craxi oggi interpretato da Salvini e Di Maio. La storia, però, non si ripete la medesima: oggi la controparte del governo è fatta di società quotate e, dunque, la possibilità di utilizzarle come «leva» occupazionale è limitata dalla necessità di non deludere un'ampia platea di investitori.

L'incontro di ieri a Palazzo Chigi tra il premier Conte, i suoi vice, i ministri economici e gli amministratori delegati delle aziende partecipate dal Tesoro (da Eni, Enel, Cdp e Ferrovie a Poste, Ansaldo Energia, Italgas, Snam e OpenFiber) non poteva che essere interlocutorio, ma è stata un'occasione per fare ancora propaganda. Il tema del vertice era appunto lo scambio di opinioni su due proposte fondamentali che saranno contenute nella manovra. In primo luogo, assicurarsi che l'introduzione di «quota 100» non avesse un impatto negativo impatto sugli organici. In secondo luogo, garantire la sostenibilità del «piano Savona» di investimenti aggiuntivi che dovrebbero spingere al rialzo il Pil smentendo gli scettici.

La risposta affermativa l'ha fornita per primo l'amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti, Fabrizio Palermo, insediato dall'attuale esecutivo. Nel prossimo quinquennio Cdp conta di investire 22 miliardi, che grazie alle riforme che il governo punta a mettere in campo potrebbero arrivare a 35 miliardi. Palermo avrebbe parlato del confronto avviato da luglio con il ministero dell'Economia per il rilancio degli investimenti e avrebbe espresso un giudizio positivo, secondo quanto riferito da fonti governative, sul superamento della riforma Fornero. Cifre messe poi nero su bianco dal capo del governo Giuseppe Conte che ha accennato a «un piano di investimenti aggiuntivo di 15 miliardi di euro rispetto a quello programmato dalle aziende per il prossimo quinquennio» e che «potrebbe arrivare a 20 miliardi se riuscissimo a realizzare la semplificazione burocratica le riforme strutturali». Difficile dare una spinta decisiva con 3-4 miliardi annui.

Molto più prosaico l'amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi. «Una cosa normale per uno shareholder: noi facciamo tanti roadshow con gli azionisti ed è giusto farlo col nostro maggior azionista per spiegare cosa stiamo facendo in Italia», ha spiegato aggiungendo che «non ci sono state richieste specifiche ma si è parlato di investimenti e i nostri più importanti sono nella chimica, economia circolare, raffinazione, rinnovabili». Il top manager del Cane a sei zampe ha precisato che non si è parlato dell'acquisto di titoli di Stato («Investiamo in attività operative, non in titoli»). Né si è parlato di modifica dei piani di remunerazione degli azionisti «Non abbiamo parlato di dividendi anche perché stiamo parlando di dividendi super, di circa il 6%. Voglio trovare chi ne ha di questo tipo», ha concluso Descalzi.

Per ora non si metterà mano al «portafogli» delle partecipate per finanziare la manovra. Anche se è stato comunque chiesto loro uno sforzo supplementare (che sarebbe stato accolto con una certa freddezza), come ha sottolineato Luigi Di Maio. «Ci sarà più di un'assunzione per ogni pensionato», ha dichiarato aggiungendo che «questo tasso di sostituzione, maggiore del rapporto 1 a 1, avverrà grazie a quota 100». E, tuttavia, un ammonimento agli interlocutori il leader M5S ha voluto indirizzarlo riferendosi alla bocciatura di Fitch. «È una buona cosa se tutti quelli che hanno promosso i governi precedenti bocciano quello attuale», ha affermato.

Parole non proprio tranquillizzanti per un uditorio di manager la cui designazione spetta al governo.

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