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Conte ora si nasconde. E parte l'accusa al Mef: tutta colpa dei tecnici

Il premier fa slittare la conferenza stampa Il ragioniere dello Stato verso le dimissioni

Conte ora si nasconde. E parte l'accusa al Mef: tutta colpa dei tecnici

Raccontano che il premier Conte, in un empito di entusiasmo, ieri mattina volesse fissare finalmente la sua benedetta conferenza stampa di fine anno, apoteosi televisiva che aspetta con ansia e che ha già dovuto rimandare tre volte. E decantare la sua smagliante «vittoria» (la chiamano proprio così, e senza ridere, gli esponenti di governo grillini) nelle trattative con la Ue sulla «manovra del popolo».

Prudentemente lo hanno dissuaso. Perché il caos sulla manovra ha mandato totalmente in tilt la maggioranza, tutti i tempi sono saltati, e il povero Conte ieri sera ancora non aveva idea di cosa ci fosse scritto, nel testo su cui aveva posto la fiducia. Mentre mezzo esecutivo tentava di scaricare la colpa dei disastri di questi giorni sui famosi «tecnici»: l'ufficio stampa della Casaleggio ieri diffondeva veline contro la Ragionieria generale e gli uffici del ministero dell'Economia, costretti da giorni a un lavoro ininterrotto per cercare di metter riparo ai guai fatti dai gialloverdi: «Vogliono far ricadere su di noi politici la responsabilità di tutto questo. Ma è dei tecnici la colpa dei ritardi: ci costringono a lavorare con l'acqua alla gola». A questa surreale versione si aggiungeva quella della Lega, con Salvini che andava in giro a lamentare: «Non controlliamo il ministero dell'Economia».

Dopo essere serviti da capro espiatorio di un governo in stato confusionale, ora il tentativo è di liberarsi di quei «tecnici» che sono anche testimoni scomodi delle magagne gialloverdi. E così, dopo l'addio del capo gabinetto di Tria, quel Roberto Garofoli di cui Rocco Casalino aveva detto: «Faremo fuori uno per uno questi pezzi di m... del Mef»; si preannuncia una esecuzione ancora più clamorosa, e più disastrosa per il governo delle pubbliche finanze. In pieno terremoto sulla manovra, le veline grillo-leghiste facevano sapere che «presto» salterà anche la testa del ragioniere generale Daniele Franco, professionista di alto profilo e quindi da sostituire con un personaggio più accomodante. Il mandato di Daniele scade a maggio, meglio accelerare i tempi e delegittimarlo in anticipo.

Le scene di ieri al Senato hanno lasciato basiti anche i più veterani tra parlamentari, cronisti e tecnici: mai si era vista prima, nella storia della Repubblica, una gestione così dissennata e dilettantesca della legge fondamentale dello Stato, una simile corsa dell'ultimo secondo ad inzeppare di norme clientelari lo sgangherato carrozzone del bilancio, litigando furiosamente dietro le quinte per chi si sarebbe aggiudicato i bocconi migliori tra ministri, partiti di maggioranza e correnti dei medesimi. Con il presidente della Camera Fico a giustificare l'esproprio del Parlamento: si è sempre fatto così, non c'è niente di strano, tranquilli che «il Parlamento è centrale». Ma tutti coloro che hanno seguito da osservatori la imbarazzante sarabanda ne hanno tratto una conclusione: è impossibile che questo governo riesca a produrre, tra un anno, una nuova finanziaria. Tanto più viste le spaventose ipoteche lasciate da quella attuale.

Molti pensano che Salvini cercherà di far saltare il banco, per andare al voto e poi a palazzo Chigi prima che il suo credito elettorale si consumi. Qualche segnale allarmante già c'è: dal calo di popolarità sui social ai sondaggi che scendono, guarda caso nel Nord produttivo, ai governatori del medesimo Nord che scalpitano contro il governo.

Ma lui fa mostra di infischiarsene: «Non c'è nessun arretramento al nord. E io non stacco nessuna spina: si va avanti per cinque anni».

Ma sullo sfondo resta quella bomba ticchettante che si chiama «prossima manovra».

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