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Contributi, caparre e confische Ecco chi fa pagare i rifugiati

L'idea danese imitata in Olanda e Svizzera. Ma a ispirare tutti sarebbe stato il Botswana

Contributi, caparre e confische Ecco chi fa pagare i rifugiati

La Danimarca ha tracciato il solco e la Svizzera si è accodata nel giro di poche ore. Una prima analisi lascerebbe intendere che il provvedimento sulla confisca di denaro e beni di valore ai richiedenti asilo, per coprire le spese d'accoglienza, abbia paternità nordica (misure simili sono in vigore in alcuni Laender tedeschi) o viva sull'asse Copenhagen-Berna. In realtà quanto approvato il 26 gennaio al Folketing, il parlamento danese, pare un po' un «copia e incolla» di ciò che accade da cinque anni nel lontano Botswana. A 12mila chilometri di distanza dalle terre di Amleto il governo del presidente Ian Khama, per arginare l'immigrazione di profughi in arrivo dallo Zimbabwe, e contenerne i costi di sostegno, chiede a ciascun esule il corrispettivo di 4mila dollari.Difficile che a Copenhagen non ne siano al corrente, anche perché lo scorso 26 ottobre il ministro degli Esteri Kristian Jensen si è recato in visita ufficiale proprio a Gaborone, la capitale del Botswana. Nell'agenda di Jensen c'era infatti anche un incontro con il collega del dicastero dell'immigrazione Pelonomi Venson.E se Kristian Thulesen Dahl, leader del Dansk Folkeparti, afferma che la legge è «un giusto passo per il nostro Paese e una strada che gli altri governi dovranno necessariamente percorrere», la Svizzera sposa la linea scandinava imponendo ai rifugiati la consegna di beni personali fino a 10mila franchi, circa 9mila euro. Le regole inoltre prevedono che i migranti cedano il 10 per cento del loro stipendio allo stato per 10 anni, o fino a quando non raggiungeranno il pagamento di 15mila franchi (circa 13mila euro) per ripagare i costi affrontati per il loro mantenimento nei primi mesi e per l'espletamento delle pratiche burocratiche. Diverso da quanto avviene in Olanda, dove il governo chiede ai lavoratori rifugiati di contribuire economicamente a fronte di beni superiori ai 6mila euro.L'effetto domino «travolge» la Svezia, anche sulla scia emotiva dei recenti fatti di cronaca di Goteborg e dell'assassinio di un'impiegata di un centro per minori richiedenti asilo. La prossima settimana in Parlamento verrà discussa una proposta di legge redatta dai liberali del Folkpartiet Liberalerna per confiscare beni ai profughi, per la maggior parte siriani e iracheni. Nel cuore dell'Europa solo il governo polacco è diviso in materia di confisca beni rispetto agli altri paesi aderenti al gruppo di Visegrad (Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria). I tre ministri del Partito del Popolo fanno ostruzionismo chiedendo un parere dell'Ue prima di mettersi al lavoro sul progetto danese. Tutto questo mentre il presidente del consiglio, e leader di Piattaforma Civica, Ewa Kopacz si è detta disponibile ad accettare almeno duemila rifugiati attraverso un pacchetto di normative che prevedano il pagamento in denaro (o lavori socialmente utili), almeno per il primo anno di soggiorno.Anche la Repubblica Ceca, l'ha ricordato ieri il premier Bohuslav Sobotka, sta valutando «gli aspetti positivi della formula danese», mentre il collega slovacco Robert Fico pone una serie di paletti: è disposto ad accogliere solo duecento rifugiati ogni anno, con «tassa di soggiorno obbligatoria, ma a patto che siano cristiani originari della Siria. Non possiamo sottovalutare i rischi concreti di una deriva islamica radicale». Deriva che terrorizza l'ungherese Orban.Per la cronaca la formula Botswana è in vigore persino in Senegal dal 2012. A Dakar i profughi del Gambia (11mila) vengono accreditati solo se sono disponibili a offrire manodopera nelle aziende dello stato nei primi 18 mesi di asilo. Un po' come in Cina, dove gli oltre 300mila esuli della Corea del Nord «pagano» l'assistenza e lo status di rifugiati lavorando alle infrastrutture.

Così Pechino risparmia tre anni di stipendi e sta ultimando opere come la nuova stazione ferroviaria di Hangzhou Est e l'asse viario verso il Pakistan.

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