Politica

Contro la mafia tutti in piazza con gli sbirri Ma Napoli «città di pace» vota per i violenti

Il Comune respinge la mozione di Solidarietà agli agenti feriti negli scontri

Stefano Zurlo

Siamo tutti sbirri. Ma a Napoli anche no. Nella capitale del Mezzogiorno è meglio tenere lontani i poliziotti pure nel giorno speciale della memoria, delle manifestazioni per le vittime della mafia, della riscossa civile contro le scritte che hanno offeso don Ciotti e il sindaco di Locri. A Napoli, regno di Luigi de Magistris, c'è un mondo a parte: guai a schierarsi con le forze dell'ordine. Il Consiglio comunale non ci pensa proprio e boccia la mozione che voleva tributare il plauso agli agenti feriti negli scontri seguiti alla visita di Matteo Salvini in città. La retorica della pace va benissimo, ma quando si fa sul serio e si prova a distinguere fra facinorosi e vittime, allora la maggioranza che sostiene il sindaco fa blocco e dice no. Mai con gli sbirri. Una presa di posizione stupefacente che stona con le mille manifestazioni promosse in tutta Italia per combattere la Piovra.

L' altro ieri sui muri dell'Arcivescovado di Locri erano comparse parole ripugnanti: «Più lavoro, meno sbirri» . E ancora: «Don Ciotti sbirro e il sindaco ancora più sbirro». Messaggi inequivocabili, tracciati con lo spray, contro don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, e il primo cittadino Giovanni Calabrese. La 'ndrangheta prova a intimidire chi rompe il monopolio del silenzio e dell'assuefazione alla prepotenza, terreno di coltura di tutte le Piovre.

Dal palco di Locri don Ciotti risponde: «Se leggo don Ciotti sbirro lo prendo come un complimento». E ancora: «Quelli che chiamiamo sbirri sono persone al servizio dello Stato, che con professionalità e dedizione provvedono alla nostra sicurezza e alla tutela delle leggi». Nessun cedimento, dunque, ma un abbraccio contagioso alle divise che rischiano la vita per tutelare la comunità. È un girotondo intorno alle forze dell'ordine che va in scena da un capo all'altro del Paese: tutti insieme, tutti con don Ciotti, tutti sbirri. Tutti, da destra a sinistra, per capovolgere le scritte infami di Locri.

A Napoli invece la retorica pacifista va in cortocircuito e la solidarietà viene messa ai voti e bocciata, come fosse una variante al piano regolatore o un qualunque atto amministrativo. Il Consiglio comunale approva una delibera baroccheggiante che vuol essere un fregio sotto il Vesuvio: Napoli, «città di pace e giustizia». Perfetto. Ma subito dopo la maggioranza fa una bella capriola e silura l'ordine del giorno presentato da Andrea Santoro, consigliere di Fratelli d'Italia. Dopo gli scontri furibondi che avevano fatto da colonna sonora alla visita di Salvini, Santoro chiedeva tre cose. Condanna della violenza di piazza; «riconoscenza agli operatori delle forze dell'ordine rimasti feriti». E l'impegno del Comune a costituirsi parte civile nei procedimenti contro gli autori delle scorrerie dell'11 marzo. De Magistris, che già aveva tenuto una linea assai ambigua quel giorno, liquida la mozione Santoro alla voce strumentalizzazione. L'aula però fa meglio: inizia la procedura per revocare la cittadinanza onoraria al generale Emilio Cialdini, protagonista del massacro di Pontelandolfo e Casalduni. Una mattanza avvenuta non due o tre settimane fa, ma il 14 agosto 1861.

Per sfuggire alla cronaca, ci si rifugia nella storia.

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