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Il Corriere contro il premier e il malcontento dei poteri forti

L'attacco del direttore in uscita ha deluso le élite che controllano Rcs. Ma potrebbe rivelarsi utile a chi ha sempre fatto il tifo per i tecnici a Palazzo Chigi

Il Corriere contro il premier e il malcontento dei poteri forti

Non era facile, in questi ultimi due giorni, a Milano, trovare larga condivisione della linea neo-violenta del Corriere della Sera contro il governo Renzi. Linea inaugurata dal direttore Ferruccio de Bortoli nell'editoriale di mercoledì. Non tra i cosiddetti poteri forti, che del Corriere sono soci nel solco della grande borghesia industriale; né tra i lettori più attenti. Insomma, quell'articolo ha scioccato la compassata élite milanese, che l'ha trovato chi volgare, chi inelegante.

Si sa che nelle grandi banche e società che controllano da oltre trent'anni il Corriere si cela il potere di quell'establishment che, in barba alle regole della democrazia, esercita pressioni importanti sulla società, l'economia e la politica. Il cui ultimo frutto avvelenato sarebbe stato il governo di Mario Monti, cacciato Berlusconi. Ora, due anni dopo, il Corriere dei poteri forti tirerebbe la volata a Mario Draghi per cacciare Matteo Renzi. Eppure questa volta non è tutto così lineare.

Intanto perché a guidare il quotidiano di via Solferino c'è un direttore licenziato: De Bortoli ha da qualche mese raggiunto un accordo con Rcs per andarsene in aprile, quando la società rinnoverà tutti i vertici. E, per sua stessa ammissione, contro la sua volontà. Prenderà 2,5 milioni di liquidazione, firmando un patto di non concorrenza. Dopo ventisette anni sarà fuori dal gruppo. A non volerlo più sono dunque gli stessi conservatori poteri forti che De Bortoli hanno costruito, trasformandolo da giovane ventenne sinistrorso nel loro figliuolo prediletto. Non dimentichiamoci che, quando nel 2009 mancava un accordo sul sostituto di Paolo Mieli, De Bortoli tornò a fare il direttore perché era l'unico che metteva d'accordo il diavolo e l'acquasanta del capitalismo nazionale, Cesare Geronzi e Gianni Bazoli (non necessariamente in quest'ordine), l'uno a Mediobanca, l'altro al vertice di Intesa. Ma oggi Rcs è un'altra cosa, come lo sono anche Mediobanca, Intesa, Unicredit piuttosto che le Generali: finanza troppo stremata dalla crisi per poter giocare ancora nei salotti. In Rcs non c'è più un patto di sindacato: Mediobanca ad aprile sarà a zero; Generali è già uscita; la galassia Ligresti è sparita; Intesa è ancora lì, ma per poco.

A crescere (con il 17%) e a prendersi il Corriere è stato uno solo dei vecchi soci del dopo P2: la Fiat, grazie alla salvezza assicuratagli da Sergio Marchionne, e dove John Elkann è deciso a seguire le tracce del nonno Gianni Agnelli. Poi c'è Diego Della Valle, secondo socio con il 7%, ma sconfitto da Elkann. I due hanno già un accordo di governance per il rinnovo delle cariche di aprile: Diego sceglierà il presidente di Rcs; a Yaki, che già controlla l'ad Pietro Scott Jovane, spetterà la scelta del direttore.

Per quanto riguarda Renzi, i poteri di cui sopra si guardano bene dal metterlo nel mirino. Marchionne lo sostiene apertamente; l'ad delle Generali Greco è un suo fan; mentre i banchieri dei grandi istituti milanesi concordano con De Bortoli solo nell'attribuire al premier una certa superficialità e faciloneria. Per il resto ritengono, come dice uno di loro, «che meriti sostegno per la volontà espressa di affrontare cambiamenti non facili in un mondo gattopardesco».

È in questo clima che martedì sera, vigilia dell'esordio del nuovo formato che porterà il Corriere nel futuro, ma senza di lui, De Bortoli ha dato alle stampe l'editoriale al vetriolo anti-Renzi. Da cui traspare, soprattutto nei toni inusuali, più disillusione che una manovra ordita dai poteri forti: il De Bortoli disoccupato a 62 anni (li compirà a maggio) come uno qualunque dei suoi prepensionati (benché d'oro), cerca nell'antirenzismo una dimensione personale che sopravviva al ruolo e alla funzione perduti. E non a caso si becca le reazioni seccate di Marchionne, che da New York replica dicendo solo «io non lo leggo, normalmente». C'è da pensare che, di qui ad aprile - sempre che questa bizzarra direzione a tempo regga all'urto di altri terremoti come questo -, al Corriere ne vedranno ancora delle belle.

Dopodiché nessuno può illudersi che il momento politico attuale, con il successo popolare di Renzi, non stia allarmando ampie fette dell'establishment nazionale che animano il Corriere e quei poteri che, forse meno forti e più fragili che mai, continuano a vedersi a Cernobbio e magari fanno il tifo per la Troika. Mentre lo stesso De Bortoli quando nel dibattito dell'altra sera dice «non credo esistano i poteri forti, spesso sono un luogo vuoto», nel farlo rinnega un aspetto della realtà nella quale ha vissuto fino a oggi da protagonista.

Di certo il Ferruccio nazionale è andato oltre le intenzioni di chi sostiene e legge il quotidiano da lui diretto.

Ma chissà che agendo così non abbia fatto anche un favore a qualcuno che però non sarà disposto ad ammetterlo mai, nemmeno sotto tortura.

 

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