Politica

Il corrotto Lula a un passo dal carcere Ma forse i suoi amici giudici lo salveranno

La Corte Suprema valuta il caso. In ballo c'è anche la ricandidatura

Paolo Manzo

San Paolo Ieri è stata l'ennesima «giornata decisiva» per il Brasile, un Paese immobile da quando la Lava Jato, così si chiama la Mani Pulite verde-oro, nel 2014 iniziò a far emergere tutto il marciume e la corruzione che univa (ma l'uso dell'imperfetto è ottimista visto che sempre ieri il Tribunale elettorale di San Paolo ha condannato il Pt di Lula per contabilizzare in modo illegale le sue donazioni elettorali) il 90% del mondo politico ed imprenditoriale. «Giornata decisiva» perché ieri la Corte Suprema (Stf) doveva decidere la sorte dell'ex presidente Lula, già condannato in appello lo scorso 26 marzo a 12 anni e un mese per corruzione e riciclaggio. Se il Brasile fosse un Paese normale, secondo la legge, da quella data l'ex presidente sindacalista che anni fa Obama definiva «il miglior politico al mondo» dovrebbe già essere in carcere.

Lo scorso 22 marzo, invece, con una decisione imprevedibile, l'Stf decise di non giudicare il merito della richiesta di libertà preventiva presentata dalla difesa di Lula, il cosiddetto habeas corpus nell'ingarbugliato ordinamento giuridico verde-oro. Allo stesso tempo, però, la Corte Suprema decretò l'impossibilità della prigione per Lula sino a quando, ieri 4 aprile, la medesima non avesse deciso nel merito sulla libertà preventiva di Lula. Un unicum senza precedenti costruito per salvare dal carcere l'ex presidente, come dimostrano le richieste da parte delle difese di numerosi condannati anche solo per semplici furti d'auto, che nei giorni scorsi si sono avvalsi del neonato «principio Lula» per ottenere la libertà dei loro assistiti.

Mentre andiamo in stampa la discussione degli 11 giudici della Corte Suprema è appena iniziata e, visti i tempi biblici dell'Stf (chi non ricorda il caso dell'ex terrorista Cesare Battisti, fermo per anni?) non è detto che la decisione sia già stata presa stamane quando leggerete il Giornale. Anche perché, se qualcuno degli 11 giudici dovesse alzare la mano per chiedere «vista» - ovvero un tempo addizionale per «studiare il caso» - la sorte di Lula potrebbe rimanere congelata ancora per mesi, a tutto vantaggio del condannato più illustre del Brasile che, così, potrebbe addirittura candidarsi alle prossime presidenziali, in programma il prossimo 3 ottobre.

Del resto, la stragrande maggioranza dei membri della Corte Suprema, 7 su 11, sono stati nominati proprio da Lula e dalla sua delfina Dilma, per cui non ci sarebbe da stupirsi se invece di essere «tutti uguali di fronte alla legge», come già scrisse Orwell nel suo indimenticabile Animal Farm, «gli animali sono tutti uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri». Nel caso letterario si trattava dei maiali, nel caso della giustizia brasiliana di Lula.

Il vero rischio, tuttavia, è un altro. Se infatti l'Stf dovesse approvare «il principio Lula» che, contro l'attuale legislazione verde-oro, concede la libertà ai condannati in appello in attesa dell'ultimo giudizio possibile in sede di Corte Suprema (che in media arriva dopo una decina d'anni), tutti gli imprenditori ed i pochi politici sinora arrestati dalla Mani Pulite brasiliana compresi quelli coinvolti negli scandali Petrobras e Odebrecht nei prossimi mesi festeggerebbero la scarcerazione. Sarebbe insomma la pietra tombale dell'inchiesta anti-corruzione più grande della storia dell'umanità, la Lava Jato che, paradossalmente dopo aver causato le dimissioni e la condanna degli ultimi due presidenti del Perù per le stecche Odebrecht, nonostante tante prove lascerebbe la corrotta classe politico-imprenditoriale brasiliana intoccabile.

Lula in primis.

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