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Corsa al Colle, in casa Pd volano minacce e pizzini

Bersani avverte il premier: mai figure ostili alla sinistra. E ritenta con Prodi: ci vorrebbe uno che capisca di economia

Corsa al Colle, in casa Pd volano minacce e pizzini

Corre, brucia i pit stop, poi spesso finisce in testacoda. Matteo Renzi come monoposto di Formula Uno: l'«ex» Gargamella , al secolo Pier Luigi Bersani, è lontano dai box ma non dal nocciolo dei problemi durante la consueta omelia domenicale di Lucia Annunziata su Raitre . Un paragone affatto banale come sembra, perché nasconde macchie d'olio a ogni curva: «Grande determinazione, grande energia, grande potenza... Ma sa qual è il problema di quelle macchine da corsa lì? Che tanta potenza devono scaricarla sulla strada, nella realtà. Non disperderla».

Dispersione. Quanto poco varranno tra un po' le rincorse ardite del premier, che s'affannava ancora pochi giorni fa ad affermare il proprio calendario «irrinunciabile» e «stringente», puntando alle riforme da votare «assolutamente» prima delle elezioni del nuovo capo dello Stato? Purtroppo nulla, com'era facile prevedere. I tempi precipitano trascinando via con sé desideri e capricci. L'agenda politica sta per essere risucchiata dagli accordi per la carica più importante della Repubblica, cui Renzi per la verità si prefiggeva di poter lavorare in monopolio, con discrezione e riserbo. Un'elezione con ampi numeri sarebbe il suo capolavoro, ma il premier ha già messo in conto di poter avvalersi nella realtà soltanto di due terzi del Pd e della metà di Ncd. Più sulla lealtà di Forza Italia (senza Fitto, probabilmente). Ogni giorno - e siamo solo ai preliminari - si presentano incastri nuovi, intoppi e imprevisti. Così dopo la mela avvelenata di Vendola («Se il Pd vuole, eleggiamo Prodi al quinto scrutinio»), arrivano gli avvertimenti della pancia profonda del Pd, l'irriducibile minoranza che vuole essere tenuta nel conto, e che nel segreto dell'urna presidenziale potrà determinare la vittoria o la sconfitta della strategia del premier.

I «pizzini» inviati da Bersani sono tanti e pesanti, alcuni palesi e altri da decifrare. A cominciare dal concetto cruciale: «Renzi sa bene che a tenere un Paese complesso uno solo non ce la fa, essere in due non è male, forse è meglio...». Tradotto: se finora Napolitano ti ha coperto e aiutato, non pensare ora di poter scegliere una figura di secondo piano. Anzi ti occorre un super-commissario. Segue difatti identikit: «Uno che sappia tenere il volante... Massima autorevolezza, massima esperienza e che sia una persona autonoma». Più nel dettaglio, scartando Renzo Piano et similia : «Niente soluzioni stravaganti, bisogna stare attenti. Quella è responsabilità seria e impegnativa. Anche aver troppa voglia di assumerla per me è sospetto. Non guasterebbe una personalità che conoscesse l'economia, avremo davanti un paio d'anni ancora complicati».

I bersaniani non staranno dunque con le mani in mano, durante l'elezione del Presidente, aspettando che Renzi la combini ex novo assieme a Berlusconi. E se proprio ieri il premier in un'intervista affermava che non esiste alcun «patto preventivo» con Forza Italia sul Quirinale, invitando Berlusconi a «non fare nomi perché significa bruciarli», Bersani rimarca come non possano esser posti «veti» verso alcuno (non cita Prodi, ma l'allusione è chiara). «Inaccettabile qualsiasi preclusione, non è immaginabile una figura ostile ai valori della sinistra e del centrosinistra... Poi, in questo ambito, non sono accettabile preclusioni di nessun genere. Va bene cattolico, laico, va bene tutto, purché ci siano le caratteristiche per tenere il volante di un Paese che deve essere guidato e rasserenato». Inevitabilmente, il pensiero scivola una volta di più sul tempo andato. Sulla carica dei 101 che costò a Prodi il Colle e a Bersani la faccia. Ferita sempre viva: «Si disse quella volta che cavallo azzoppato andava eliminato. E quel cavallo ero io. Meglio essere un cavallo che un asino...».

Un somaro da corsa? Bersani non va oltre, il dubbio rimane.

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