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Corsa alle ricandidature. Ma il nuovo Rosatellum fa paura ai peones

La contrattazione nel suk Montecitorio è già partita. Manovre dei big Pd per strappare i "sì"

Corsa alle ricandidature. Ma il nuovo Rosatellum fa paura ai peones

Il giorno dopo del Rosatello, gran mal di testa. La (tenue) promessa di non ricascarci a Palazzo Madama, ma intanto a Montecitorio si contano i feriti. I morti no, la fiammella della ricandidatura è ultima a spengersi. Si riscontra l'affievolimento del «tiratore», meno «franco» del solito grazie al soccorso offerto da forzisti e leghisti alle caracollanti truppe del Pd, ormai sbronze. Invece dei 441 voti attesi sulla carta, ne sono arrivati 66 in meno, per la maggior parte del Pd. «Anime disperse, cercano il collegio», scherzava l'altra sera il post-dc Sanza, ora «amico di Pisapia».

Ma che il boato levatosi dal settore pidino dell'emiciclo fosse abbastanza fuori luogo ci ha pensato ieri l'ex ministro e braccio destro di Prodi, Arturo Parisi, a spiegarlo. «Quel boato ha trasformato un giorno di festa in uno di lutto. Quando 12 anni fa Berlusconi ci impose il Porcellum - ha ricordato Parisi -, almeno non lo fece con la fiducia». E il Professore ha fatto sapere che non commenterà il Rosatellum «neanche sotto tortura». L'amarezza di inventore e cofondatore del Pd arriva alla vigilia dei primi dieci anni del partito. Entrambi non sono stati invitati ai festeggiamenti, «per una grave sciatteria dell'organizzazione», lamenta Parisi. L'imbarazzo del Nazareno si è tradotto in un gelido comunicato per smentire Parisi sul mancato invito, e nella risposta del vice di Renzi, Martina: «La legge elettorale non è la migliore, ma l'unica possibile». Poca enfasi, rispetto all'ex numero due prodiano che parla di «autunno di ciò che avevamo sognato». Di sicuro la partita del Rosatellum è passata obtorto collo e solo grazie agli interventi via Web e cellulare del segretario in persona. Nonché ai capicorrente Franceschini e Orlando, mai visti tanto a braccetto con chiunque nei corridoi trasformati in variopinti suk della contrattazione. Renziani più esposti, come il capogruppo papà della legge, Ettore Rosato, incorrevano persino in incresciose gaffe, secondo quel che racconta Pippo Civati. «Rosato è venuto a offrirmi un collegio, torna con noi, vieni rieletto, mi ha detto». Poco più in là, imperversavano conteggi d'altra natura, che uno sprovveduto avrebbe potuto prendere per battaglie spaziali o pizzini di Cosa nostra. «Sicilia 1, quanti?» «12 come minimo». «Piemonte 2?». «Macché, Lombardia 1 o niente». Collegi uninominali e posti in lista bloccata. Essendo controversi risultati e meccanismi mai sperimentati, si formavano crocicchi nei quali più che trattative venivano fuori ampie dosi d'inquietudine. Improvvisati maghi del sufismo, come il moderato Giacomo Portas, concedevano affollate udienze in sala fumatori. «Quanti ne eleggiamo in Campania?». Dal proprio smartphone, l'Othelma 2.0 tirava fuori un file excel con tutte le simulazioni possibili di riparto dei seggi, per ogni collegio uninominale e plurinominale, in base alle possibili percentuali di consenso di ciascun partito.

«Giacomì, quanti ne scattano nel proporzionale in Sicilia? Tieni bene il foglio, per la miseria!».

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