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Così Ivrea volta le spalle alla sinistra (e a Casaleggio)

Svolta nella città dell'Olivetti e casa del think tank a 5 Stelle. Dopo decenni passa ai moderati

Così Ivrea volta le spalle alla sinistra (e a Casaleggio)

nostro inviato a Ivrea

Da sempre città simbolo dell'industria illuminata; da una manciata di mesi roccaforte dello sbarco grillino nell'imprenditoria tecnologica, con Casaleggio junior che in aprile vi aveva chiamato a raccolta le teste d'uovo della ricerca e del digitale. E invece va a finire che Ivrea gira le spalle tanto al suo passato che al suo presunto futuro: sulle rive tumultuose della Dora, il voto degli elettori spedisce dapprima in soffitta le aspirazioni dei 5 Stelle, relegandoli a un misero 13 per cento; e al ballottaggio di domenica il voto archivia anche il potere decennale della sinistra. Si ribaltano i risultati del primo turno, e il democratico Massimo Perinetti finisce cinque punti sotto il candidato del centrodestra. Stefano Sertoli è il nuovo sindaco: e pensare che non è neanche di Ivrea ma uno svizzero-milanese pariniano e bocconiano, che - ironia della politica - le ossa se le è fatte lavorando come manager ai giornali locali di Repubblica e dell'Espresso.

Di come sia stato possibile un simile miracolo, il neosindaco Sertoli - quando all'una di ieri sbuca dalla sala dove è stato appena investito della carica - dà una spiegazione tutto sommato semplice: «Atrofizzazione, sclerotizzazione di un potere che era senza ricambio da quarantadue anni e che non ha saputo rinnovarsi. Noi abbiamo saputo intercettare questo bisogno di cambiamento». Ma anche Sertoli sa che tutto quanto accade a Ivrea finisce inevitabilmente con l'essere letto alla luce dei fatti di oggi, il vento leghista, l'emergenza immigrati, ma anche del mutamento epocale portato dalla fine della città-azienda voluta da Adriano Olivetti, quella dove ancora oggi gli annunci funebri affissi ai muri dicono «È mancato Elvo Giovannini, Spilla d'oro Olivetti, di anni 85».

Quanto ha contato, la fine della fabbrica-simbolo, nell'archiviare un potere politico che di quella identità era espressione? E ancora: si può fare un parallelo con quanto avvenne un anno fa in un altra città-fabbrica dal volto ben diverso, Sesto San Giovanni? Federico Bellono, storico segretario della Fiom di Ivrea e oggi segretario provinciale a Torino va giù piatto: «L'Olivetti faceva parte della storia di Ivrea, invece la si è trasformata in mito. E con i miti, come è noto, non si mangia. A Ivrea i giovani vivono uno spaesamento che è paragonabile a qualunque cittadina, e richiamarsi in maniera ossessiva alla eredità Olivetti ha prodotto un effetto di rifiuto. Non a caso il voto ha premiato la coalizione che meno si richiama alla eredità olivettiana: una eredità irripetibile, molto distante dalle condizioni reali delle persone».

In attesa che gli studiosi di flussi ci capiscano qualcosa in più, il vincitore Sertoli si gode un successo non del tutto previsto, racconta la sua campagna elettorale in bicicletta («Lo slogan era: un sindaco a portata di mano») ma intanto prepara le valigie per il Bahrein, dove Ivrea si gioca la candidatura a città Unesco; dà atto a Virginia Tiraboschi, senatrice azzurra, di essere stata la prima a credere in lui, «nonostante le avessi spiegato che io per lei non avrei votato, perché la mia storia personale mi impedisce di votare una coalizione con la Meloni»; e spiega che al primo passo dell'agenda c'è dare una sveglia alla macchina comunale, «dove il senso di appartenenza sembra essersi perso». Nulla di rivoluzionario, insomma, «dialogo e condivisione»: d'altronde qui non è che la gente se la passi troppo male, e di proclami tonitruanti diffiderebbe. Dall'altra parte, a sinistra, si leccano le ferite, e si consolano dando la colpa al vento che tira così un po' dappertutto: «non è un caso se abbiamo perso anche a Pisa», dice alla stampa l'ex sindaco Carlo Della Pepa, dando il via alla corsa all'autoassoluzione. Ma il sindacalista Bellono ammonisce: «Non è stato un incidente di percorso, un episodio tattico.

Se la sinistra se la cava pensando che tra un anno gli elettori si pentiranno sbaglia tutto».

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