Politica

Così mappe e planisferi hanno cambiato la storia

Oggetti a metà tra tecnologia, filosofia e politica le carte testimoniano le tappe dei progressi umani

Francesco Perfetti

Nel 1554 in occasione della fiera del libro che già all'epoca, dopo l'invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg, si teneva con grande successo a Francorforte, un celebre professore, poco più che quarantenne, Gerardus Mercator, incontrò un giovane di Anversa, Abrahamus Ortelius. I due erano molto diversi e non solo per via dell'età o dell'aspetto fisico. Mercator, matematico e astronomo oltre che geografo, corrispondeva all'idea del «dotto» rinascimentale. Univa cultura umanistica e ricerca scientifica e non disdegnava la sperimentazione tecnologica. Era nato da una famiglia tedesca trasferitasi nelle Fiandre e aveva imparato a lavorare materiali metallici nonché, in particolare, a incidere su ottone e rame. Aveva realizzato due splendidi globi complementari, l'uno terrestre e l'altro celeste, che ancora oggi suscitano l'ammirazione di chi li osserva nel Palazzo Ducale di Urbania. Ortelius, invece, che apparteneva a un'altra generazione (aveva 16 anni meno di Mercator) proveniva anch'egli dagli studi umanistici e scientifici, nutriva una enorme passione per la geografia, ma, grande viaggiatore, aveva avviato una sua fortunata attività di librario.

Quell'incontro fu importante, anzi fondamentale, per la storia della cartografia. Mercator convinse il giovane Ortelius, ambizioso, intellettualmente vivace, a occuparsi di geografia e di cartografia in maniera scientifica. Non si era ancora nel pieno di quello che gli storici avrebbero chiamato il «secolo d'oro» della civiltà olandese ma se ne assaporavano le premesse. Dall'incontro fra Mercator e Ortelius nacquero gli atlanti e i portolani che si sarebbero rivelati essenziali per il futuro delle esplorazioni, dello studio della geografia e, anche, della storia. Mercator, che aveva inventato un nuovo sistema di proiezione rimasto legato al suo nome, negli ultimi anni della sua vita pubblicò un Atlas che recava nel frontespizio l'immagine del mitologico Atlante e che conteneva mappe relative ai Paesi Bassi, alla Francia, alla Germania, all'Italia, alla Grecia. Dal canto suo, l'amico-rivale Ortelius riuscì ad ottenere il monopolio della pubblicazione degli atlanti. Le sue mappe, divenute ben presto famose, le redigeva raccogliendo informazioni attraverso una fittissima rete di corrispondenti amici sparsi per l'Europa, una rete che comprendeva persone di ogni genere, matematici e cartografi, navigatori e finanche corsari e occultisti: da Francis Drake a John Dee.

La storia della cartografia è, naturalmente, molto più antica degli atlanti di Mercator e di Ortelius come dimostrano i volumi curati da un noto collezionista di mappe e autorevole studioso della materia, Kevin J. Brown, e proposti in una bella edizione speciale da Il Giornale. È una storia che comincia con i primi documenti cartografici provenienti dall'antichità classica. Uno di questi che apre il primo dei volumi di Brown e che mi ha particolarmente colpito è la cosiddetta Tabula peutingeriana che offre una prima rappresentazione del mondo romano antico in età imperiale e che mette in risalto strade e vie di comunicazione. Si tratta di una rappresentazione che, letta in controluce, offre una spiegazione, da un punto di vista storico, delle vicende che resero grande Roma e ne favorirono l'ascesa e l'espansione e cioè la combinazione fra vocazione mercantilistica e capacità militare: una combinazione resa possibile dalla costruzione di strade e ponti. Di quella mappa il cartografo fu un personaggio eccezionale: Marco Vipsanio Agrippa, amico e fidato collaboratore di Ottaviano Augusto.

Più in generale, la storia delle mappe, delle carte geografiche, dei portolani, degli atlanti, dei mappamondi consente di cogliere il succedersi delle epoche storiche. Qualche esempio. All'età d'oro della cartografia fiamminga, quella di Mercator e di Ortelius per intenderci, funzionale alla grande espansione commerciale dell'Olanda, succedette, con la nascita dello Stato assoluto propiziata da Richelieu e Luigi XIII e con il consolidarsi dello stesso ad opera di Luigi XIV, una nuova fase che vide lo spostamento a Parigi dei centri di produzione dell'attività cartografica e vide persino la creazione della carica di «primo geografo del Re» ricoperta da Guillaume Delisle. Questi fece scomparire dalle rappresentazioni cartografiche quelle terre immaginarie di cui si favoleggiava molto nella letteratura filosofica, utopistica e fantastica. Eppure, a ben vedere, anche le mappe che riproducevano territori inesistenti popolati da esseri semiselvaggi e strani animali ovvero da comunità ideali e felici, avevano una loro consistenza «storica» perché riflettevano aspetti della speculazione filosofica del tempo e talune mode intellettuali, come l'esotismo e l'orientalismo che affascinarono l'Europa. E che dire, poi, del nuovo trasferimento del centro di produzione e di irradiamento della cartografia da Parigi a Londra nel XIX secolo se non che esso fu effetto di un evento epocale come la Rivoluzione francese?

Sul rapporto fra storia e geografia c'è una battuta, celebre e calzante, di un geografo francese dell'Ottocento, noto per le sue idee anarchiche, Elisée Reclus: «la geografia non è altro che la storia nello spazio come la storia è la geografia nel tempo». Mappe e carte geografiche costituiscono un tramite concreto e percepibile fra le due discipline. E hanno, comunque, un grande fascino: quel fascino visionario del quale furono preda tanti intellettuali come Italo Calvino e Jorge Louis Borges.

Il quale ultimo legò il proprio nome a un delizioso frammento che, citando una cronaca apocrifa del XVII secolo da lui inventata di sana pianta, raccontava di un'epoca e di un impero nei quali l'arte della cartografia aveva raggiunto una perfezione tale che i cartografi avevano voluto creare «una Mappa dell'Impero, che uguagliava in grandezza l'Impero e coincideva puntualmente con esso»: una mappa che le generazioni successive, non senza empietà, avrebbero abbandonato alle «inclemenze del sole e dell'inverno».

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