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Cosa manca ai populisti per vincere

Si sta facendo strada l'impressione che i partiti populisti europei, che sembravano destinati a dominare la scena (e tuttora dominano il dibattito), non stiano veramente sfondando

Cosa manca ai populisti per vincere

Non c'è ancora alcuna certezza, ma si sta facendo strada l'impressione che i partiti populisti europei, che sembravano destinati a dominare la scena (e tuttora dominano il dibattito), non stiano veramente sfondando.

Il leader più arrabbiato, l'olandese Wilders, non sembra riuscito nell'intento di passare in testa il traguardo delle elezioni di ieri. Marine Le Pen, data fino al mese scorso sicura vincitrice del primo turno delle presidenziali francesi, è in ritirata e qualcuno ipotizza che non arrivi neppure al ballottaggio. Le elezioni tedesche sono ancora troppo lontane per fare pronostici ma «Alternativa per la Germania» sembra in crisi, e i casi di Polonia e Ungheria dove cosiddetti populisti sono già al potere - sono troppo diversi dai nostri per fornirci indicazioni. Viene perciò spontaneo domandarsi quale sia il quid che manca a queste forze per fare l'ultimo passo verso il potere, o, forse meglio, che cosa c'è nei loro programmi che non convince una maggioranza di elettori.

Le tre componenti principali di questi programmi sono antieuropeismo, xenofobia e avversione vero le attuali élite politiche. Ma tutte tre, mentre suonano bene in campagna elettorale, hanno il difetto di essere - in parte - irrealistiche. Prendiamo il caso della Le Pen, che vuole portare fuori la Francia sia dall'Europa sia dall'Euro, smontando così la costruzione europea di cui il suo Paese è una componente indispensabile. Gli elettori, anche quelli della Francia profonda e delle zone industriali abbandonate che la seguono, cominciano a domandarsi che cosa accadrebbe dopo, e se invece di guadagnarci non finirebbero col rimetterci.

La xenofobia, o meglio l'antiislamismo, è più facile da «vendere», specie nella scia dei recenti attentati jihadisti, ma non porta da nessuna parte, nel senso che buona parte dei «nemici» sono sì musulmani di difficile assimilazione, ma anche cittadini francesi. Quanto all'avversione per le élite, è certo largamente diffusa, ma di per sé non rappresenta un programma. Visto che lo stesso discorso vale per Wilders, si potrebbe concluderne che gli elettori attratti dai partiti populisti cominciano a fare prevalere l'interesse (e il buon senso) sugli istinti. Marine Le Pen e compagnia avevano avuto anche una bella spinta prima dalla Brexit e poi dalla elezione di Trump. Ma nel primo caso questa spinta comincia a esaurirsi di fronte alla difficoltà che la Gran Bretagna, che pure non fa parte dell'Euro, incontra nel realizzare il distacco. Quanto a Trump, ha indubbiamente molti punti in comune con i populisti europei, ne condivide l'avversione all'immigrazione e il disprezzo (almeno apparente) dell'establishment e ha in comune con loro molte categoria di elettori in primis gli operai messi fuori gioco da globalizzazione e automazione ma si muove in una dimensione diversa.

Probabilmente, in cuor loro, anche molti leader populisti sanno che, se per caso andassero al governo, dovrebbero mettere molta acqua nel loro vino; finora erano riusciti a nasconderlo ai cittadini, ora, forse, non più tanto.

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