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Costume e modernità Maria Antonietta è arrivata nel Duemila

Karl Lagerfeld ha inventato per Fendi il rococò tecnico. Max Mara gioca con la sartorialità

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«Una donna capace di entrare nella leggenda per una moda leggendaria» dice Silvia Venturini Fendi di Marie Antoinette, musa ispiratrice dell'indimenticabile collezione Fendi per l'estate 2017 in passerella ieri a Milano. Darle ragione è poco perché Karl Lagerfeld è riuscito a mescolare l'opulenza dello stile rococò con l'asciutta praticità dell'abbigliamento tecnico, la delicatezza delle porcellane di Sèvres con la forza dirompente della modernità. La prima uscita è un cortissimo robe manteau tagliato a marsina nel classico tessuto rigato che Fendi chiama Pequin ma che in fondo deriva dalla tradizione militare francese. Da qui in poi è un crescendo rossiniano di bellezza. Ci sono abiti mutuati dalla forma del grembiule da contadinella che in Francia chiamano tablier. Alcuni sono diversi rettangoli di tessuto svolazzante semplicemente appoggiati sul davanti della gonna. Altri prevedono la pettorina oltre a una teoria di fiocchi, lacci e coccarde che a sorpresa rendono i modelli leggeri e portabili come non mai. Dello stesso segno le decorazioni che vanno dai motivi floreali in fil coupé metallizzato alla perfetta riproduzione degli ornamenti di una statuina di bisquit in organza tridimensionale. I colori sono pallidi e deliziosi: albicocca, rosa bon bon, un verde tra il salvia e il sorbetto che, nel caso della tunica in visone laserato, sfiora il sublime. Tutte le modelle indossano dei comodi stivaletti in maglia tecnica tipo le Flyknit di Nike versione prét à porter del divino modello couture presentato lo scorso luglio sulla passerella di cristallo nella Fontana di Trevi. Divina anche la nuova borsa kan I con ben tre tracolle Strap You. Insomma si conclude nel migliore dei modi l'idea del métissage tra costume e modernità cominciata nel 2006 da Sofia Coppola con il film Marie Antoinette.

Anche da Max Mara c'è un bel gioco tra materiali tecnici e costruzioni sartoriali. Il fashion director Ian Griffits parte da Lina Bo Bardi, prima donna architetto italiana che trasportò in Brasile gli stilemi del modernismo oltre ad aderire al movimento culturale denominato Tropicalia. Dalla casa di vetro che la signora ha progettato per se stessa a Rio si gode una vista spettacolare sulla giungla e tanto basta al bravissimo designer inglese per disegnare una moda in cui il jersey high performance delle sneaker viene prima stampato e poi tagliato nell'inconfondibile linea del cappotto 101801, best seller di Max Mara. Lo stilista di Moschino, Jeremy Scott, parte dalle paper doll degli Anni'50 per continuare ad esplorare a modo suo il formidabile impero dei segni della maison. Stavolta prende l'idea del trompe l'oeil e la trasforma in un giochino divertente per cui nulla è ciò che sembra. Sul vestito da sera c'è la sagoma della donna nuda, il denim non è jeans ma cotone stampato e sui modelli costruiti come le sagome da ritagliare ci sono anche le taps, ovvero le linguette da ripiegare sulla bambolina di carta. Dire bello sarebbe troppo ma certo sui social media farà furore. Daniele Carlotta, giovane designer siciliano amato da Beyoncè fa invece una gran bella collezione che si vede a fatica in un antro illuminato di rosso che non permette di capire i colori, la texture dei ricami, l'elegante costruzione sartoriale. «La prossima volta sfilo», promette.

Speriamo l'aiutino.

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