Economia

Dopo il crac Monte Paschi spunta la mina licenziamenti

L'ex premier dà in eredità agli italiani un salvataggio da 8,8 miliardi. Nel settore esplode il problema esuberi

Dopo il crac Monte Paschi spunta la mina licenziamenti

L'incubo di inizio 2016 di trovare al più presto un compratore per Etruria & C, a dodici mesi di distanza si è trasformato in quello che possiamo definire il «disastro bancario» che l'ex premier Matteo Renzi lascia in eredità ai contribuenti italiani. Non solo le quattro good bank sono ancora da sistemare e Monte Paschi ha evitato di finire nella fossa del bail-in nelle feste di Natale unicamente perché lo Stato ha varato una nazionalizzazione da 8,8 miliardi facendo infuriare i falchi della Bce, adesso sulle banche italiane si solleva anche lo spettro dei licenziamenti.

Rischia insomma di deflagrare una seconda bomba sociale, dopo quella esplosa a fine 2015 con la falcidia dei 12mila obbligazionisti subordinati di Etruria& C. Il campo minato per ora resta quello delle good bank e a pagare sono i loro addetti: per convincere Bper a comprare CariFerrara sembra sia necessario dimezzare il costo del lavoro, licenziando 400 dipendenti. Si prospetta il ricorso alle legge 223: uno choc sistemico per un settore che ha sempre gestito gli esuberi con i prepensionamenti volontari. E un precedente pesantissimo per i bancari, perché proposto dall'Autorità di Risoluzione, che fa capo a Bankitalia. La stessa che era chiamata a vigilare sulla solidità del sistema, prima di passare il testimone a Francoforte. Da qui il livore dei sindacati che hanno gridato allo scandalo con la Fabi di Lando Maria Sileoni. Il pericolo è che i licenziamenti tra cassieri e back office si trasformino dalla palla di neve di Ferrara in una slavina per i 300mila addetti del settore. Non tanto per l'allarme già scattato a Veneto Banca e Popolare Vicenza, ma perché secondo il Fondo Monetario gli istituti di credito europei hanno un terzo di filiali di troppo. Il che equivale a dire che in Italia ci sono 65-90mila bancari che rischiano di finire sul marciapiede.

Tornando a Mps, proprio perché gli italiani sono chiamati ad aprire il portafogli, appare ora doveroso fare maggiore chiarezza sui mesi volati via a Siena, dopo la bocciatura ricevuta agli stress test della Bce, tra il cambio al vertice e le voci sull'arrivo di un cavaliere bianco poi disattese. Il fatto che Consob abbia sospeso il titolo Mps da Piazza Affari, poco può infatti contro la fuga di capitali che scuote Rocca Salimbeni: si stima che dopo i 13,8 miliardi perduti nei primi nove mesi, da ottobre a metà dicembre ne siano spariti altri 6, per un totale di 20 miliardi. In sostanza Mps rischia di replicare, su scala esponenziale, la fuga dei correntisti vista prima Etruria& C, poi a Popolare Vicenza e Veneto Banca. Le due malate del nord est, salvate dal fondo Atlante con un esborso da 2 miliardi e destinate fondersi, che necessitano di altro denaro per sopravvivere.

Renzi ha poi fatto un passo falso con la riforma che obbliga le maggiori banche popolari a trasformarsi in spa. Il consiglio di Stato ha infatti messo in dubbio la «costituzionalità» della legge soprattutto per quanto riguarda i limiti posti al diritto di recesso dei soci, rimandando tutto alla Suprema corte. Così, malgrado il limite per diventare spa scada oggi, ci sono due gruppi a metà del guado: Popolare di Sondrio e Popolare di Bari, che hanno visto sospendere le assemblee dei soci davanti al rebus legislativo. Senza contare che la mina del recesso resta anche per le popolari già diventate spa e che malgrado l'obiettivo di Renzi fosse il consolidamento, finora l'unico risultato è stato il matrimonio tra Popolare Milano e Banco Popolare.

Ma forse basta dire che Ubi ha accettato di farsi carico di Etruria, Marche e Chieti pagando un prezzo simbolico di un euro e lasciando tutto il peso della minusvalenza (1,6 miliardi) ancora una volta al Fondo di risoluzione.

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