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Crisi di governo, le riforme che rischiano di "saltare"

Con la fine del governo Renzi non vedranno più la luce norme come la riforma Madia e la legge sullo ius soli ma è a rischio anche la ridistribuzione dei migranti tra i Comuni italiani

Crisi di governo, le riforme che rischiano di "saltare"

Jobs Act, riforma della giustizia, legge sulla concorrenza e legalizzazione della cannabis sono solo alcune delle leggi che rischiano di schiantarsi davanti all'ipotesi di un nuovo governo o di elezioni anticipate.

Con la vittoria del "No", la seconda parte del Jobs Act che riguarda la riforma del collocamento del pubblico impiego, lascia tale materia di competenza concorrente tra Stato e Regioni e non diventa di esclusiva competenza statale come sarebbe stato se fosse passata la riforma costituzionale. Il nuovo assegno per aiutare i disoccupati a ricollocarsi verrà perciò deciso dalle singole giunte regionali mentre lo Stato conserverà un potere di intervento limitato. Per quanto riguarda la riforma del processo penale, voluta dal Guardasigilli Andrea Orlando, che è stata già approvata alla Camera, ci sarà uno slittamento dopo le feste. Il ddl, che avrebbe dovuto iniziare il suo iter in Senato proprio domani, contiene al suo interno nuove regole per la prescrizione e per le intercettazioni ma prevede anche prevede pene maggiori per furti e rapine. La legge sulla legalizzazione della cannabis, invece, dopo un breve passaggio nell'aula di Montecitorio, a ottobre è tornata in commissione dove rischia l'affossamento definitivo. A novembre Sinistra Italiana ha tentato di introdurre tale legge nella legge finanziaria del prossimo anno prevedendo di destinare le entrate aggiuntive alla ricostruzione post-terremoto, ma il voto congiunto di Pd e Lega ha bloccato tale proposta in commissione Bilancio della Camera.

Un'altra riforma cardine del governo Renzi è la legge Madia sulla riforma della pubblica amministrazione che è stata dichiarata incostituzionale il 24 novembre scorso e, ora, potrebbe non vedere mai la luce. Per evitare la pioggia di ricorsi il governo, in attesa di correggere in accordo con le Regioni, potrà revocare oppure sospendere l'applicazione il decreto attuativo contro gli assenteisti ma sembra difficile prendere una simile decisione con una crisi di governo in atto. Altre leggi che rischiano di saltare sono quella che consente di dare ai propri figli il doppio cognome. Approvata alla Camera nel 2014, in questi due anni si è persa tra i meandri del Senato. Sono fermi a Palazzo Madama anche la legge sulla cittadinanza che avrebbe introdotto uno 'ius soli temperato' e il ddl sull'omofobia, sepolti nelle commissioni dagli emendamenti della Lega Nord. Una sorte simile toccherà anche al disegno di legge sul reato di tortura, sospeso a luglio a un passo dal voto finale di Palazzo Madama, dopo le richieste del centrodestra.

La legge sulla "Tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo", approvata alla Camera a settembre, rischia di finire nel dimenticatoio a causa della farraginosità del testo. Il testo unico sul pubblico impiego non è stato ancora scritto anche se il Consiglio dei ministri ha tempo fino a febbraio per approvarlo. Il provvedimento punta a eliminare il posto fisso e gli scatti di anzianità dei dipendenti pubblici ma riguarda anche le norme che materialmente consentono il rinnovo del contratto degli statali. Mancano anche le misure attuative della Banca d'Italia per portare a compimento la riforma delle banche popolari, varata nel gennaio 2015, che trasformerebbe tali banche in società per azioni. Il Consiglio di Stato ha infatti accolto il ricorso presentato dai soci di un istituto e ha chiamato la Corte Costituzionale a esprimersi sulla riforma, sospendendo l'applicazione della circolare di Bankitalia. Per quanto riguarda il ddl sulla concorrenza va ricordato che il suo iter legislativo era stato sospeso ad aprile con le dimissioni del ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi per lo scandalo "Tempa Rossa" e, attualmente, il provvedimento è fermo in commissione industria al Senato. Con il premier dimissionario si ferma anche il tavolo sul "Patto per Roma" che avrebbe portato 2 miliardi nelle casse indebitate del Campidoglio.

Non solo ma è destinato a "saltare" anche il piano dell’Anci sulla redistribuzione dei migranti tra i comuni che il prefetto Mario Morcone, capo dipartimento immigrazione del Viminale, intendeva sbloccare dopo il referendum.

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