Politica

Cristiani ed ebrei uniti dalle parabole

Renato Farina

Il meeting di Comunione e liberazione? Non ho nessuna voglia di spiegare la nuova pelle e ripetere le vecchie palle su Cl. Ho fissato un incontro e ci punto: «Le parabole di Gesù Cristo». Una vecchia storia. Ma qui le legge e le spiega Joseph Weiler, un ebreo di quelli tostissimi, coltissimi, purissimi. Il quale, per intendersi, sostiene che sbagliano i cattolici a parlare di Antico Testamento, perché quello è piuttosto l' Autentico Testamento. Eppure, è innamoratissimo di Gesù, lo tratta quasi come un collega di un'altra generazione, di certo comunque un buon ebreo. Nel tempio e nelle piazze ci avrebbe discusso se fosse stato là. Maledizione non c'era. Prova a recuperare qui al Meeting, ed è una irresistibile attrazione. Così, traversate e meditate le mostre dedicate a Madre Teresa di Calcutta, alla Georgia e alla sua identità cristiana; incantato dalla storia delle meravigliose suorine dell'Assunzione, percosso dalla testimonianza dei cristiani perseguitati nel padiglione dedicato; conosciuto il cane poliziotto che annusa i visitatori cercando esplosivo; acquistata e consumata piadina romagnola, odorato kebab; alla fine, eccomi lì. Gli intenditori e io lo nacqui - vanno lì. Nella sala strapiena, con traduzione simultanea in quattro lingue, insieme al teologo don Stefano Alberto, versa tutto se stesso il citato professor Weiler, luminare del diritto, attentissimo alla singola parola, virgola, puntino sulla i. Il suo italiano trascritto è perfetto, parlato è una cantilena newyorchese. Uno strano ebreo (ma non se ne conoscono di normali). L'Italia scelse lui per difendere alla Grande Chambre di Strasburgo il diritto di tenere appesi i crocifissi nelle aule scolastiche. Vinse. In passato sostenne che l'Europa rifiutò le radici cristiane nella sua Costituzione per «cristofobia». E ne paghiamo il prezzo, a quanto pare. Comincia la danza delle parabole con la più bella e famosa: il figliol prodigo. Provoca, si lascia sfidare dalla parabola. Il vero protagonista dice Weiler - è il fratello maggiore, furioso perché viene premiato il frequentatore di prostitute. Noi siamo lui. È il sempiterno enigma della prosperità degli empi. A quello il vitello, e a me neanche un capretto. Una beffa per noi, persone comuni e perbene, a noi che, mediamente peccatori, non ci viene neanche in mente di piantare lì la famiglia e di svaccarci in Thailandia. Per Gesù Cristo-Joseph Weiler sono due i figliuoli festeggiati: anche quello maggiore lo è. Aspettava il premio, e non capiva che il premio è vivere nella casa del Padre. Ora capisce. Due i figli prodighi: entrambi perduti ed entrambi ritrovati. Naturalmente riferisco malamente. Il pubblico interviene, dialoga, contesta, impara. Siamo in Palestina, giuro. Lui spiega che ha ragione Gesù a dare a chi ha e togliere a chi non ha, ma non lavora, non rischia la sua libertà. Per cui l'amore e il perdono sono il centro del Vangelo e delle parabole. Ma anche il dovere, la responsabilità. Seduto accanto a me, prende appunti l'abate del monastero buddista Zen di Salsomaggiore. Il monaco Fausto Taiten Guareschi viene qui al Meeting da una vita.

Dice che qui tutti questi anni si ripete la stessa parabola. Polemiche mediatiche ogni volta diverse, ma qui è il posto dove si rinnova l'unica domanda seria: che cosa vogliamo farne della nostra vita?

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