Politica

Quando l'"onesto" Landini lasciò a casa gli operai

Dà ancora lezioni di moralità quando la sua Fiom deve risarcire 15 iscritti

Quando l'"onesto" Landini lasciò a casa gli operai

Roma - Fossimo nei panni del combattivo e tosto Maurizio Landini, ci guarderemmo bene dal farci adottare dal Fatto Quotidiano come nuovo potenziale leader della sinistra degli «onesti».

Mica per niente, ma l'elenco di chi c'è già passato sembra la pagina dei necrologi (politici, naturalmente), come se la famosa maledizione di Tutankhamen, un tempo monopolio della Repubblica scalfariana, fosse stata ereditata dal giornale di Padellaro&Travaglio. Qualche nome? Antonio Di Pietro, sparito dai radar. Nichi Vendola. Stefano Rodotà (ta-tà), crudelmente scalzato dal Colle. L'indimenticabile Antonio Ingroia, abilissimo imitatore di Crozza, nelle cui liste corsero a candidarsi giornaliste militanti del Fatto particolarmente esagitate, e che ora fa il raccomandato di Crocetta. Beppe Grillo, che (grazie alle consulenze di Travaglio&Scanzi) sta precipitando nel buco nero dell'inutilità politica. E poi, ancora: la lista Tsipras (detta Spritzas) e alcuni reperti della Vandea costituzionalistica dai cognomi difficili, tipo Zagrebelski e Carlassare; sindacalisti al quarto riciclo come Sergio Cofferati e il meteorico Fabrizio Barca. L'ineffabile Pippo Civati, da mesi impegnato ad andarsene dal Pd, dove nessuno pare interessato a trattenerlo.

Landini, però - nonostante ami i riflettori e sia rimbalzato come una Madonna pellegrina attraverso i raduni dei suddetti combattenti e reduci antiberlusconiani, oggi riuniti dall'antirenzismo - sembra intenzionato a farsi i fatti propri. E ieri, nell'intervistona di apertura del Fatto , dice piuttosto chiaramente che il suo obiettivo non è girare Ingroia 2 - La vendetta , ma scalzare i dinosauri camussiani dalla Cgil: al sindacato, spiega, serve «una riforma democratica», e «questa domanda di cambiamento pone l'esigenza di un ricambio». Dice anche altro, però. E, dopo aver annunciato che la guerriglia contro il Jobs Act continuerà anche quando sarà legge, riesuma, ahilui, quelle categorie berlingueriane che furono la rovina della sinistra nostrana. La «questione morale». La distribuzione (abusiva) di patenti di «onestà». La delegittimazione morale dell'avversario. Il governo Renzi, oltre a non essere «di sinistra», secondo Landini «non combatte evasori e corrotti». Ancora: «I lavoratori sono la parte onesta del Paese, e c'è un parte disonesta del Paese (i disoccupati?, ndr ) contro cui non si interviene».

La risposta del Pd arriva direttamente da Maria Elena Boschi: «Non accettiamo lezioni di moralità». Da nessuno. In effetti i concetti alquanto tranchant di Landini sono di quelli di cui in politica sarebbe meglio non abusare, perché qualcuno può sempre ritorcerteli contro. Come potrebbero fare, per esempio, quegli 15 operai licenziati dalla Flexider di Torino, che hanno trascinato la Fiom in tribunale.

Il sindacato di Landini, dopo averli fatti tesserare, ha impugnato i loro licenziamenti chiedendo il reintegro ex articolo 18. Ma si è dimenticata di presentare le carte in tempo, e loro sono rimasti disoccupati. Un anno fa la Fiom è stata condannata a risarcirli, ma ha ottenuto una riduzione della cifra sostenendo che erano stati loro a sbagliare i documenti.

Tremila euro a testa (coperti dall'assicurazione).

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