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Dagli aumenti di Siena al nuovo corso Cdp. Quanti danni economici a firma Renzi

Il premier e Padoan si sono arresi ai diktat Ue, preoccupati solo dalla flessibilità

Dagli aumenti di Siena al nuovo corso Cdp. Quanti danni economici a firma Renzi

Roma - La distruzione del valore come bussola programmatica. È questa, in estrema sintesi, la politica economica del governo Renzi applicata alle grandi questioni finanziarie. Il Monte dei Paschi di Siena ne è un esempio di scuola. L'istituto senese dal 2008 a fine 2016 avrà effettuato aumenti di capitale per complessivi 20,5 miliardi di euro cui si aggiungono circa 920 milioni di interessi sui prestiti concessi dallo Stato pagati in cedole e in azioni. Le ultime tre operazioni sul capitale, per totali 13 miliardi, ricadranno nel «consolato» del Giglio magico.

Non sono responsabilità del presidente del Consiglio le condizioni capestro applicate nel 2013 all'ultima versione dei Monti-bond, ma da febbraio 2014 fino all'ottobre dello stesso anni poco fu fatto per rinegoziare l'intelaiatura della direttiva Brrd con annessi stress test che, da quando è stata approvata, ha visto sempre Siena infrangersi sugli scogli della Borsa. E, d'altronde, una dura legislazione sul patrimonio di vigilanza delle banche (di cui hanno fatto le spese Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara) poco aveva a che fare con una concezione tradizionale della politica. E poi, bisogna ricordarlo, avendo preferito trattare con la Commissione Ue sulla flessibilità di bilancio per continuare a elargire il bonus elettorale da 80 euro, tutto il resto - a cominciare dalla difesa della stabilità del sistema finanziario nazionale - è passato in secondo piano con il risultato che per l'istituto oggi presieduto da Massimo Tononi non si è mai cercato di imbastire un percorso alternativo e, quando lo si è fatto, ci si è fermati ai niet di Bruxelles come quei 13 miliardi di aumenti testimoniano.

Lo stesso discorso vale per la Cassa Depositi e Prestiti, trasformata per volontà di Palazzo Chigi e del ministero dell'Economia, guidato da Pier Carlo Padoan, in una sorta di veicolo speciale per le operazioni di politica industriale. L'esempio più lampante è la richiesta del governo di investire nel 12,5% di Saipem, società di esplorazioni deconsolidata da Eni. La Cassa tra compravendita delle azioni e sottoscrizione pro-quota dell'aumento di capitale vi ha immesso circa 900 milioni che oggi sono diventati 494 milioni con una minusvalenza del 45 per cento, più o meno la metà di quanto investito. Il ragionamento potrebbe valere anche per i 500 milioni in Atlante se il fondo non riuscirà a guadagnare sulle ristrutturazioni di Popolare Vicenza e Veneto Banca oppure dal prossimo acquisto delle sofferenze di Monte Paschi. Insomma, è difficile vedere congruenza tra un ente che raccoglie risparmio postale e si occupa di prestiti alle pubbliche amministrazioni e gli investimenti nei non performing loan che perterrebbero più a un hedge fund. Un'avventura nella quale Palazzo Chigi ha coinvolto anche le casse previdenziali con la futura promessa di un abbassamento delle tasse sui rendimenti. Non è un caso se la Corte dei Conti, anche in relazione al salvataggio Ilva, ha formulato rilievi notando che Cdp sta operando «ai margini della propria compatibilità statuaria».

E non si può non citare in questo rinnovato coinvolgimento del pubblico nell'economia reale anche il caso dell'Enel, che opererà in sinergia con Cdp, nella realizzazione del piano di sviluppo da 3,7 miliardi della banda ultralarga attraverso il cablaggio delle città.

Ma per il governo Renzi le questioni di coerenza non sono un problema: lo dimostra il caso della Rai.

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