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Dalle voci sul male alla tragica fine Tutto in un mese

A giugno i primi sussurri. Poi il ricovero e la fine improvvisa. Che sconvolge la Fiat

Dalle voci sul male alla tragica fine Tutto in un mese

Un mese di silenzio. Straziante. Un mese di voci. Maligne. È finito il tempo della speranza ultima e della corsa alla notizia esclusiva. Sergio Marchionne si porta via il brusio, quel rumore lontano di cose e di persone che si agitavano dinanzi al mistero, alle ipotesi, ai sospetti, pronti ad annunciare, per primi, il fatto, l'accaduto.

Zurigo e la Svizzera non erano più zone neutrali, semmai il centro, anche morboso, di attenzione, alla ricerca dello scoop, dell'immagine clamorosa, di una voce, una testimonianza che potesse confermare o smentire.

Un mese lungo e feroce assieme, nel quale il libro della Fiat, e non soltanto, si è improvvisamente aperto a scritture e letture di ogni tipo. Marchionne malato era una notizia impossibile da ascoltare ma facile da riferire, anche se alcuni segnali avrebbero dovuto offrire queste indicazioni, sollevare il dubbio che qualcosa stesse accadendo in quel corpo robusto, austero. Era affaticato, il grande manager, era solo e stanco, il fumo di cento, mille sigarette aveva intorpidito il suo respiro e i suoi polmoni, altri serpenti si erano introdotti nel suo organismo. Il ventisei di giugno aveva consegnato una Jeep in livrea ai vertici dell'Arma dei carabinieri, come atto in memoria di suo padre Concezio, maresciallo nei secoli fedele. Fu l'ultima uscita pubblica, come un estremo saluto in riverenza al padre e al mondo. Nelle ore successive, il viaggio in Svizzera. Una operazione alla spalla, niente di serio, niente di grave, così era stato detto, il dolore non era più sopportato e sopportabile, però le cure non davano gli effetti desiderati, dunque si era reso necessario e urgente il ricovero nella clinica universitaria di Zurigo, questa sembrava poter risolvere la questione.

«Tranquilli torno presto», aveva detto ai suoi collaboratori più stretti. Una frase per trasmettere calma a chi già era in totale ansia, perché il male aveva già dato, da tempo, i suoi allarmi clandestini ma precisi.

Improvviso, il silenzio. Improvvisa, la tensione, in famiglia e nel gruppo, a Torino, a Detroit. Elkann e i vertici di Fiat Fca hanno capito immediatamente che la situazione stava precipitando, il quadro clinico era peggiorato. E a quel punto le voci hanno preso a moltiplicarsi, minuto per minuto, giocando con la vita altrui. In azienda l'atmosfera era diversa, le notizie che arrivavano dalla Svizzera non concedevano conforto e nemmeno speranza. John Elkann era salito a Zurigo per salutare l'amico.

La cultura di una qualunque multinazionale non prevede semplici compatimenti, ai di là delle manifestazioni di cordoglio e di affetto. Ogni casella dell'organigramma comporta una sostituzione in caso di eventi particolari; nelle scelte nulla è improvvisato, anche le dimissioni seguono a decisioni che erano previste. Così era accaduto con Morchio che, dopo aver tentato di prendere in mano il volante dell'impresa, era stato poi costretto a lasciare la carica di amministratore delegato di Fiat con l'arrivo alla presidenza di Luca Cordero di Montezemolo, dopo la scomparsa di Umberto Agnelli, nel maggio del duemila e quattro. Così è accaduto con Alfredo Altavilla, direttore operativo Fca e braccio destro di Marchionne, che ha lasciato l'incarico, dopo la nomina di Mike Manley ad amministratore delegato e di Louis Camilleri in Ferrari. Quando, al primo giorno di giugno, Sergio Marchionne si presentò con la cravatta per annunciare l'azzeramento del debito netto industriale citò una frase di Oscar Wilde «Una cravatta ben annodata è il primo passo serio nella vita».

Oggi mi permetto di aggiungere altre parole dello scrittore irlandese: «Tutti ti amano quando sei due metri sotto terra».

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