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Danneggiati due ponti, Amatrice è quasi isolata E i morti salgono a 281

Ieri mattina un'altra scossa ha compromesso la viabilità: rimane un solo punto d'accesso

La conta dei morti arriva a 281 nella tarda serata di ieri (238 sono le persone tratte in salvo, tanto da far parlare il ministro Alfano di «miracolo laico»), mentre davanti alle tende-obitorio allestite nei giardini dell'istituto Don Minozzi va in scena il triste rito del riconoscimento delle salme. Sarebbero ancora trenta le vittime senza un nome del terremoto che ha distrutto Amatrice. Ancora scossa dalla lunga coda del sisma, con la terra che pure ieri ha tremato, provocando nuovi crolli e paura tra la popolazione, ma per fortuna non c'è stato nessun ferito tra i vigili del fuoco e i soccorritori.

Amatrice dopo tre giorni di lutti e dolore ha dovuto fare anche i conti con il rischio di rimanere isolata. Dalla via Salaria è quasi impossibile arrivare al centro di coordinamento dei soccorsi della città della pasta, nella parte alta della città. Sotto restano le rovine, l'ospedale inagibile e i soccorritori che cercano ancora corpi. Ma le scosse di assestamento hanno messo a dura prova la viabilità che dal bivio a valle del paese porta alle frazioni e al centro di coordinamento. Bloccati due ponti che danno accesso alla Salaria, l'unica via di accesso ad Amatrice passa ora per l'Aquila e l'Abruzzo, via Aringo e Campotosto. Una stretta e lunga strada piena di tornanti e, adesso, di traffico di ambulanze e mezzi di soccorso.

Altro clima sulla via non più carrabile che dalla curva prima dell'ospedale arriva fino alla parte alta del paese. Qui si passa da Sommati, Collepagliuca, Voceto e Retrosi (dove è stato arrestato lo sciacallo napoletano). Fino a giovedì mattina i soccorsi percorrevano questa strada, poi una scossa all'ora di pranzo ha fatto venir giù una chiesa e danneggiato un ponte (e anche un secondo ponte sulla terza via, che dovrebbe essere riaperta domani al traffico solo per i mezzi di soccorso). Riducendo così le arterie che portano il sangue degli aiuti ma anche i parenti delle vittime alla città sabina ferita, e abbandonando le piccole frazioni a un silenzio irreale. Qualche residente prima di andarsene ha sigillato le porte con catene e lucchetti, ma camminare per le vie e le piazze deserte è straniante. Antichi edifici aperti come gusci di noce, chiese scoperchiate, ma anche piazze che sembrano intatte, ma private degli abitanti.

Il sindaco Sergio Pirozzi ha fatto un appello, ricordando quanto è importante che le strade vengano riaperte, che Amatrice, ferita al cuore, non venga anche isolata. L'ultimo ponte, il ponte Rosa, chiude la via che arriva dall'Aquila, e per ora regge. «Speriamo non crolli, preghiamo Dio che regga", sospira il primo cittadino tra le rovine della sua città. Anche casa sua è lesionata, come il comune che prosegue le attività in un prefabbricato nel parco comunale in attesa di allestire una nuova sede provvisoria. Il futuro è quantomai incerto, anche Pirozzi allarga le braccia e dice che ormai «il paese è da radere al suolo e ricostruire». Possibilmente restituendogli almeno l'aspetto degli antichi splendori. Ma anche la prima fase, quella della rimozione delle macerie, è ancora distante.

Intanto si continua a scavare per trovare gli ultimi corpi e per mettere in sicurezza qualche strada, riaprendo i collegamenti tra le due parti di un paese spaccato in due.

Ieri è stata abbattuta una casa pericolante in centro per agevolare il lavoro delle squadre, mentre la ricerca di eventuali altre vittime si concentrava sul'hotel-ristorante Roma, la "patria" del'amatriciana.

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