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Danno retta a Renzi ​anche se dice bischerate

Il Palazzo è intimidito quando, ogni due minuti, esterna. Pochi reagiscono, e anche quei pochi lo fanno senza convinzione, paralizzati dalla paura di essere estromessi dalla consorteria

Danno retta a Renzi ​anche se dice bischerate

Nel descrivere le vicende italiane cerchiamo di essere seri, ma non vi riusciamo: ci viene da ridere. Prendiamo la legge elettorale, approvata in privato dai renziani, uniti tra loro da legami ambigui: affetto? interesse? attaccamento al ruolo di scudieri del principe Matteo? Non sappiamo. Sappiamo, invece, che l'Italicum è passato liscio perché gli oppositori del medesimo, anziché affrontare almeno per orgoglio una battaglia persa, sono usciti dall'aula. Aventiniani senza Aventino. Lo spettacolo da essi offerto non è stato edificante: la democrazia è un'altra cosa.

Vabbè. Rassegniamoci a ciò che passa il convento dei frati minori, molto minori. Non ce l'abbiamo con Renzi, bensì con chi gli dà retta anche quando dice bischerate, cioè quasi sempre. Il Palazzo sembra intimidito quando egli, ogni due minuti, esterna. Pochi reagiscono, e anche quei pochi lo fanno senza convinzione, paralizzati dalla paura. Paura di che? Di essere estromessi dalla consorteria, probabilmente. Adesso comprendiamo perché il giovin premier, con un colpo di mano, ha spedito Sergio Mattarella al Quirinale. Gli serviva un uomo grigio disposto a tacere, e ne ha trovato uno che più grigio non era possibile: talmente opaco da sembrare nero come un impresario di pompe funebri.

Oddio, il nuovo inquilino del Colle ha un aplomb invidiabile. È rigido e imperturbabile. L'uomo giusto per soddisfare le esigenze del presidente del Consiglio: soprattutto quella di non essere contraddetto né intralciato nella realizzazione dei propri disegni poco ortodossi. Mattarella non eccepisce. Ha la tendenza naturale a inchinarsi davanti a coloro che hanno agevolato il suo ingresso al Quirinale. Non ha neanche bisogno di dire signorsì: ubbidisce lo stesso, intuendo e anticipando i desideri del Signorino.

Il quale Signorino concentra tutta la propria forza, notevole, nella lingua, con cui è in grado di annientare chiunque gli dia l'impressione di complicargli la vita. Matteo è un fenomeno, vede la realtà ma non la capisce. Esempio. Un corteo di criminali il 1º Maggio ha devastato Milano, dove egli aveva appena inaugurato l'Expo tra inni manipolati e un'orgia di applausi. Decine di auto incendiate per far dispetto ai proprietari delle medesime, vetrine infrante, negozi ridotti in briciole, banche assaltate. Il commento di Renzi è stato un capolavoro di mistificazione: «Non saranno quattro teppistelli a mortificare il nostro Paese lanciato alla conquista di un posto al sole». Obiezione rispettosa: se erano quattro teppistelli, perdio, perché non li avete bloccati subito, arrestati e giudicati? Alla domanda non seguirà alcuna risposta. Chi risarcirà coloro che sono stati danneggiati dai «birichini»? Lo Stato? Campa cavallo.

Poi il premier si è trasferito a Bologna, sede della festa dell' Unità. Trattasi di un giornale morto e sepolto, e non si comprende cosa abbia da festeggiare un cadavere. Mah! A parte questo, durante i festeggiamenti Matteo è stato duramente contestato dai precari della scuola, incavolati quanto i delinquenti scatenatisi a Milano, però più civili: fischi e lanci di uova. Sono intervenute le forze dell'ordine, che hanno sedato gli animi. Bene. Sapete qual è stata la dichiarazione illuminata dell'ex sindaco di Firenze? «Non saranno tre fischi a fermarci».

Renzi ha imparato bene a parlare, pur dicendo fesserie, ma ha qualche difficoltà a contare: non va oltre la decina. Vede un esercito di farabutti in azione? Per lui sono quattro teppistelli. Sente una selva di fischi? Per lui sono tre stupidelli che zufolano. E noi dovremmo fidarci di uno così e lasciare nelle sue mani il nostro destino?

Il problema però non è Renzi, bensì quelli che gli vanno appresso a occhi chiusi e lo avvolgono in un manto di saliva.

Costoro non fanno ridere: fanno ribrezzo.

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