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De Benedetti, figli in rivolta: a «Repubblica» non comandi

Marco, presidente di Gedi, contro il padre: «Altri attacchi non saranno tollerati perché non sei più il proprietario»

De Benedetti, figli in rivolta: a «Repubblica» non comandi

Roma «Voglio essere molto chiaro: non accetto e non accetterò nulla che possa danneggiare Repubblica. E i comportamenti di chi dice di amarla ancora, spero saranno in futuro indirizzati solo al bene del giornale». Il presidente di Gedi (l'editore di Repubblica, Stampa e Secolo XIX), Marco De Benedetti, ieri tramite il quotidiano di Largo Fochetti ha «rampognato» l'augusto genitore Carlo che aveva stigmatizzato tanto l'ingratitudine del fondatore Scalfari quanto la direzione «senza identità» di Mario Calabresi.

È solo l'ultima puntata di una telenovela nata dalle trascrizioni della telefonata tra l'Ingegnere e l'ad di Intermonte, Gianluca Bolengo, e le pubblicazioni del verbale di audizione della Consob. Quell'accusa velata di insider trading sulla riforma delle Popolari grazie alla presunta soffiata di Matteo Renzi ha fatto perdere le staffe a Carlo De Benedetti con il risultato di indispettire tanto il «suo» quotidiano quanto la stessa famiglia.

Quelle dichiarazioni sprezzanti sul salvataggio della baracca nel 1982 e su Scalfari «riempito di soldi» hanno fatto sorgere in molti addetti ai lavori il sospetto che l'Ingegnere volesse riprendere le redini del controllo del gruppo editoriale (presidenza lasciata a giugno scorso) e forse anche qualcosa di più. Ecco quindi che ieri il figlio ha ricordato al padre che la stessa poltrona di presidente onorario è da considerarsi provvisoria in caso di ulteriori intemerate contro Rep e il suo fondatore. Non a caso l'ex ad di Tim ha riconfermato «piena fiducia» a Mario Calabresi ricordando che «nel 2013 mio padre decise che era giunto il momento di avviare la successione del gruppo da lui fondato con la donazione a noi figli che siamo oggi gli unici proprietari». Insomma, l'Ingegnere è poco più che un riverito ospite in quella che era casa propria perché l'avvicendamento «è un processo irreversibile» e «ripensamenti e rimpianti non sono ammessi».

Marco De Benedetti è manager troppo misurato per liquidare la sua esternazione come circoscritta al solo mondo editoriale. «Con Rodolfo ed Edoardo (i fratelli comproprietari di Cir) c'è un totale spirito di condivisione sui traguardi da raggiungere» ed «è lo stesso con l'ad Monica Mondardini». Una precisazione per sgomberare il campo dai soliti rumor su una presunta disarmonia tra i tre eredi, il genitore e la supermanager che ha la plancia di controllo di Cir e di Gedi. Insomma, Marco avoca a sé la rappresentanza della terza generazione di De Benedetti, considerato che sul fratello Rodolfo, presidente di Cir, pesa ancora il flop di Sorgenia, l'utility rilevata dalle banche per debiti, mentre il più giovane Edoardo è uno stimato cardiologo.

Mondardini, che ha riportato la holding in utile dopo anni di vacche magre, è sempre nella top list dei cacciatori di teste, ma è altrettanto vero che il suo potere decisionale sia un po' «ingombrante» per Marco e per Rodolfo. L'unità di intenti ribadita ieri, tuttavia, ha anche una funzione meramente assertiva anche nei confronti della famiglia Agnelli che tramite Exor è il secondo azionista di Gedi.

I figli dell'Ingegnere sono sempre stati descritti come poco interessati al business editoriale che, invece, suscita le attenzioni di John Elkann che tre anni fa è diventato primo azionista dell'Economist. Anche la provenienza di Calabresi dalla Stampa ha alimentato l'ipotesi.

Ieri Marco De Benedetti ha cercato di inviare un messaggio pure a Torino.

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