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"Decida il parlamento": la mossa dei "Bremain"

Mezza Gran Bretagna cerca di boicottare il referendum: nel mirino l'attuazione dell'articolo 50

"Decida il parlamento": la mossa dei "Bremain"

Luciano Gulli

Alla fine, chissà, tutto il pasticcio della Brexit potrebbe risolversi in una clamorosa bolla di sapone; e gli inglesi scoprire che in realtà sono stati, senza saperlo, su una manicomiale puntata di Scherzi a parte. Lo stesso dicasi per Nigel Farage, l'euroscettico leader dell'Ukip che ieri, a sorpresa, ha annunciato l'addio alla leadership del suo partito. Ma poiché anche a Londra (non solo accà) nisciuno è fesso, Farage ha deciso di restare incollato come una cozza al suo strapagato seggio al Parlamento di Bruxelles. Una figura non proprio da gentleman. Un po' come il nostro Zaza, che dopo aver fatto lo sbruffone con Neuer, il portierone tedesco, minacciando di farlo nero, l'ha tirata malinconicamente fuori dalla porta.

L'ultima notizia, a proposito di Brexit, viene dal prestigioso studio legale londinese Mishcon de Reya. Gli avvocati dello studio, nell'intento di boicottare l'uscita del Regno Unito dalla Ue chiedono infatti che il procedimento per l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea non cominci prima di un atto formale del Parlamento.

Nel mirino dello studio legale c'è l'«articolo 50» del trattato di Lisbona, secondo il quale «ogni Stato membro può decidere di ritirarsi dall'Unione nel rispetto dei propri requisiti costituzionali»; ma che una tal decisione deve essere assunta dal Parlamento. Sicché un'azione del governo, senza passare per un voto della Camera, ragionano gli avvocati, sarebbe incostituzionale in quanto violerebbe la sovranità del potere legislativo. Per conto di chi abbiano assunto la loro iniziativa, gli avvocati di «Mishcon de Reya» non dicono. Ma è verosimile che dietro questi «avvocati d'affari» ci sia una lobby di imprese con interessi legati alla permanenza del Regno Unito nell'ambito dell'Unione Europea.

Quali risultati concreti possa avere la mossa dello studio legale, che non pare perseguire scopi pubblicitari, nessuno sa dire, al momento. Ma è come una granata che rotola tra i piedi di quanti si sono battuti per la Brexit. Destinata a far danni e a sconquassare ancor più un'opinione pubblica frastornata e divisa. Se si arrivasse infatti a un voto parlamentare, la Brexit potrebbe incagliarsi tra le secche di una maggioranza di deputati favorevoli al Remain. A questo punta apertamente Nick Clegg, vice primo ministro ed ex leader dei Liberal Democratici che chiede espressamente elezioni anticipate prima di «tirare il grilletto» dell'articolo articolo 50. «Il referendum- ha scritto Clegg per il Guardian - ha fatto saltare ogni convenzione politica, economica e costituzionale. Il nostro Paese è destinato a crollare, avvitandosi su se stesso».

Come uscirne? «Con l'elezione di un nuovo Parlamento dice Clegg - che agisca responsabilmente affrontando il nostro storico divorzio dalla Ue. È l'unico modo per uscire dal presente stato di caos». Quanto a Farage e alle sue dimissioni dal partito dell'«Indipendenza». Lui ne dà un'interpretazione di tipo personale, privatistico. «Voglio riappropriarmi della mia vita», ha spiegato.

Ma di fronte al presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker - che pochi giorni fa, proprio all'Europarlamento, ha detto a Farage: «Lei è un sostenitore della Brexit, che ci fa ancora qui?» dovrà inventarsene un'altra.

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