Politica

Deficit su, i conti non tornano. La manovra ora è un rebus

L'Istat certifica che la crescita non basta. Difficile dare nuove mance elettorali come pretendono Bersani & C

Deficit su, i conti non tornano. La manovra ora è un rebus

Votarsi a San Francesco d'Assisi? Il premier Gentiloni e il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, sono laici e difficilmente invocherebbero il patrono d'Italia per superare lo scoglio della maggioranza assoluta al Senato per approvare la risoluzione sulla Nota di aggiornamento del Def attesa in Aula il 4 ottobre. Intanto, si cerca di guadagnare tempo. Il Consiglio dei ministri, che doveva approvare la variazione, è stato rinviato da ieri a oggi. Ufficialmente perché l'Istat ha pubblicato solo ieri la revisione delle stime sui parametri di finanza pubblica (anticipate giovedì sera a Via XX Settembre) ed è su quelle che si imposta il quadro macroeconomico tendenziale. Ufficiosamente perché ogni minuto è buono per condurre trattative con i bersaniani di Mdp i cui 16 voti a Palazzo Madama.

Ieri Roberto Speranza ha fissato nuovi paletti: «spostare 30 miliardi dalla leva fiscale agli investimenti pubblici e alle politiche sociali», cioè pensioni, sussidi e interventi pubblici. Ecco perché è molto probabile che il voto sulla Nota di aggiornamento venga spacchettato in due risoluzioni. Una sull'aumento del deficit/Pil 2018 dall'1,2% all'1,8 da votare a maggioranza assoluta e sulla quale sarebbe difficile sfilarsi poiché aumenta la spesa pubblica. L'altra sul documento vero e proprio riducendo al minimo i riferimenti a terminologie ostiche per la sinistra come «privatizzazioni» e sulla quale sarebbe necessaria la sola maggioranza semplice. Il refrain è banale: cercare di ricondurre Mdp a più miti consigli addossandole la responsabilità di un'eventuale crisi di governo sulla manovra di fine legislatura.

Si può dire, comunque, che l'Istat abbia dato una grossa mano a Padoan. La revisione elle stime contiene alcuni campanelli d'allarme che consentiranno al ministro di chiudere i cordoni della borsa per evitare una nuova manovra correttiva dopo quella imposta dalla Commissione Ue nello scorso aprile. Il nuovo quadro, inoltre, conferma il sostanziale fallimento delle politiche di spesa pubblica del governo Renzi che ha generato più disavanzo senza contribuire a rendere più forte la crescita economica. L'aumento del Pil 2016 è stato confermato infatti allo 0,9%, un decimale di punto in meno del +1% del 2015 (rivisto dal +0,8%). Questo significa che, nonostante la profusione di bonus e mance varie, la ripresa italiana è rimasta sottodimensionata rispetto a quella dei principali Paesi europei.

Bisogna, tuttavia, evidenziare come la revisione delle stime abbia prodotto un effetto positivo sul rapporto debito/Pil che, dopo anni di aumento, aveva iniziato un percorso di discesa grazie allo sviluppo del denominatore (il numeratore continua purtroppo a correre e attualmente si trova a quota 2.300 miliardi di euro). Sentiero che, come detto, si è interrotto subito a causa delle elargizioni renziane. In particolare, il nuovo andamento dell'indicatore è 131,8% nel 2014, 131,5% nel 2015 (da 132,1%) e 132% nel 2016.

Perché questo stop subitaneo? Perché il governo Renzi ha speso più di quanto incassato. Il rapporto deficit/Pil l'anno scorso si è attestato al 2,5% anziché al 2,4% inizialmente stimato. E questo perché le uscite correnti sono aumentate di oltre 10 miliardi peggiorando l'avanzo primario, cioè la differenza tra entrate e uscite al netto della spesa per interessi.

Si tratterà, insomma, di far capire a Bersani & C. che con troppa spesa si rischia un nuovo commissariamento di Bruxelles.

L'asse Mdp-Cgil pare però molto saldo.

Commenti