Politica

Uno dei killer di Alatri era appena uscito di cella

Castagnacci era stato arrestato con centinaia di dosi la sera prima del delitto. E subito rilasciato

F orse Emanuele oggi poteva essere ancora vivo. Forse la belva che gli ha sferrato il colpo fatale poteva essere dietro le sbarre. Forse, forse. Oggi è il giorno delle domande, quelle che non trovano risposta e torturano l'anima.

Mario Castagnacci, il cuoco di 27 anni bullo e spacciatore, arrestato insieme al fratellastro Paolo Palmisani per il massacro di Emanuele Morganti, la sera prima dell'omicidio era stato arrestato per droga a Roma, ma era stato rimesso in libertà.

Nel curriculum vitae del bullo di Alatri, conosciuto come «Bellarmi» e temuto dai coetanei, ci sono diverse macchie. Ma se venerdì scorso la magistratura avesse deciso diversamente il destino avrebbe preso un'altra piega, per lui, per Paolo, per gli altri indagati e soprattutto per la vittima, che ancora sarebbe tra le braccia dei suoi affetti. Emerge infatti che giovedì sera i carabinieri avevano fatto irruzione in un appartamento nel quartiere romano del Pigneto. Nel corso di attività investigative avevano saputo, infatti, che lì, dove Castagnacci viveva con due uomini e una ragazza toscana, si spacciava. All'interno i militari avevano trovato 43 grammi di hashish, divisa in quattro blocchi, sei grammi di marijuana e 7,5 grammi di cocaina, confezionata in quattro involucri, oltre a un libro dove venivano annotati acquirenti, guadagno e stupefacenti venduti.

Castagnacci era finito ai domiciliari per detenzione ai fini di spaccio, ma venerdì mattina, dopo la convalida del fermo da parte del Gup del Tribunale di Roma, era stato rimesso in libertà. E nel pomeriggio era tornato ad Alatri e si era preparato per andare al Mirò, dove lavorava il padre Franco. Non era la prima volta che il ventisettenne veniva fermato per reati legati agli stupefacenti. E non è un segreto per nessuno che ci sia un mix di droga e alcool dietro all'insensata ferocia usata da lui e Palmisani per massacrare Emanuele. «Non era mai sobrio - racconta un gruppo di habitué del bar Tipsy di Tecchiena - era sempre violento, attaccabrighe». «Lui, ma anche Paolo, hanno lo stesso carattere - dice Simone, seduto accanto alla Paninoteca Tom e Jerry - un anno fa alla festa del paese uno dei due ha sfregiato un nostro amico al volto con una bottiglia di vetro rotta».

«Mio figlio alle medie era stato più volte oggetto di atti di bullismo da parte di Palmisani - dice una donna che preferisce restare anonima -. Paolo è stato sospeso più volte e da adolescente era già spietato e sadico. I due fermati sono uomini violenti con numerosi precedenti penali e assuntori quotidiani di cocaina». «Solo mio nipote ha cercato di difendere Emanuele - si dispera il nonno di Gianmarco -. Quelli hanno iniziato a infierire anche su di lui e non hanno avuto paura nemmeno delle forze dell'ordine. Serve la giustizia terrena, devono essere puniti al massimo della pena perché sono dannosi per la società».

Venerdì, dopo aver selvaggiamente picchiato Emanuele, i fratellastri hanno proseguito la nottata in un locale di Frosinone, lungo la Statale Monti Lepini e qui, come hanno raccontato in molti agli investigatori, si sono vantati di aver pestato «uno che aveva risposto».

Nessun rimorso per quel massacro. Anzi. Ieri anche l'avvocato difensore, Tony Ceccarelli, ha rinunciato al mandato. «È stata una decisione autonoma, presa senza alcuna pressione - dichiara il legale -. Lo dico perché in questi giorni sono stati molti i colleghi, anche di indagati più marginali, che sono stati minacciati e malmenati».

Questa circostanza ha fatto slittare l'interrogatorio del detenuto, posto in regime di isolamento a Regina Coeli con il fratellastro, per evitare il rischio di ritorsioni e minacce da parte degli altri.

La piazza davanti al Mirò, dove Emanuele è stato pestato, è invece diventata luogo di pellegrinaggio da parte di amici e conoscenti e dove c'era il suo sangue ora c'è una distesa di biglietti e fiori.

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