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Dell'Utri in carcere da malato ora rischia di non uscire più

Si riducono le speranze di poter essere curato fuori

Dell'Utri in carcere da malato ora rischia di non uscire più

Roma - Se fino adesso nessuno degli innumerevoli giudici chiamati a pronunciarsi sull'incompatibilità delle condizioni di salute di Marcello Dell'Utri con il carcere ha mostrato una qualche pietà nei confronti dell'ex parlamentare, dopo i 12 anni che gli sono stati inflitti dalla Corte d'Assise di Palermo per la trattativa Stato-mafia, si allontana ancora di più la speranza per il fondatore di Publitalia di poter uscire dal carcere prima del tempo per potersi curare.

Perché è solo quella che rimane a Dell'Utri, in carcere dal 2014 per scontare una condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa e ormai assuefatto ai no ricevuti non solo dal Tribunale di Sorveglianza di Roma - che più di una volta ha respinto le richieste di scarcerazione per motivi di salute presentate dai suoi legali (motivandola in un caso con il pericolo di fuga, ndr) - ma anche dalle toghe di Caltanissetta che hanno rigettato la richiesta di revisione e dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo alla quale aveva chiesto la sospensione della pena sempre per motivi di salute. Perché la questione gira tutta intorno alle sue precarie condizioni fisiche, dopo che al diabete e alla cardiopatia di cui soffre da tempo, la scorsa estate si è aggiunto un carcinoma alla prostata contro il quale sta ancora lottando. Lo scorso febbraio l'ex senatore di Forza Italia aveva lasciato Rebibbia per essere seguito dallo staff medico del Campus Bio-Medico di Roma dove ha effettuato la necessaria radioterapia, ma lo scorso 18 aprile è tornato nell'infermeria del carcere dove dovrà sottoporsi ai controlli che gli sono stati indicati nella scheda di dimissioni. L'avvocato Alessandro De Federicis, che lo affianca nella lotta, teme ora che la nuova condanna possa alterare il delicato equilibrio psicologico che Dell'Utri si è creato durante la detenzione, fatto di buone letture e tanto studio. «Sembra reagire bene a tutto - spiega l'avvocato - ormai non si fa più illusioni, sa che i riflettori della giustizia italiana sono puntati su di lui e pensa solo alla prossima laurea in carcere e che passi presto l'anno e mezzo che ancora gli manca da scontare».

Nel frattempo il processo sulla trattativa Stato-mafia farà il suo corso, ci sarà l'appello, poi la Cassazione, con chissà quali esiti e soprattutto con quali tempi.

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