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Quella denuncia rimasta inascoltata: «Qui entra di tutto»

Dopo i tagli di spesa dael 2011, al Tribunale di Milano militari sostituiti con civili disarmati. Ignorato il dossier di un funzionario: "Siamo esposti a ogni attacco"

Quella denuncia rimasta inascoltata: «Qui entra di tutto»

Un fortino indifeso, esposto a ogni attacco: questo è il Palazzo di giustizia di Milano. Dirlo adesso, dopo l'orrore seminato ieri nelle sue aule e nei suoi corridoi da un bancarottiere impazzito di rabbia, è facile. Ma l'allarme era stato lanciato per tempo, ed è rimasto inascoltato. È una lettera che un funzionario del palazzaccio milanese ha diramato appena un mese fa, il 5 marzo scorso, indirizzandola a tutti i vertici delle istituzioni coinvolte: al ministro, al procuratore della Repubblica, al presidente del tribunale. Nulla. Adesso ovviamente si correrà ai ripari.

A scrivere è uno che di sicurezza se ne intende: Umberto Valloreja, oggi responsabile dell'Archivio del tribunale, ma per molti anni carabiniere, e non da scrivania. Per deformazione professionale, coglie le falle del sistema di sicurezza del palazzaccio. E alla fine, decide di metterle nero su bianco. L'occasione è un fatto apparentemente marginale, ma che nella dinamica della tragedia di ieri ha avuto un suo ruolo, la chiusura del presidio medico interno al tribunale: resa drammatica ieri dall'impressionante lentezza con cui sono arrivati i soccorsi. Ma in quell'occasione, Valloreja affronta per intero il tema della sicurezza. Ed ecco cosa scrive: «Il Palazzo di Giustizia è un “fortino” strategicamente indifendibile, esposto ad ogni attacco, dove la sicurezza è labile tanto da doversi rimodulare in ogni aspetto». «Ricordo che il Presidente la Corte di Appello dott. Grechi, ebbe a certificare, nel febbraio 2006, il Palazzo di Giustizia quale “obiettivo sensibile del terrorismo”. E questo in tempi in cui il terrorismo internazionale non aveva ancora esteso le sue allucinate mire anche in Italia. Nella situazione attuale che prevede l'apertura, tra meno di 70 giorni, della mostra universale Expo, che porterà circa 20 milioni di visitatori a Milano, non è possibile sottovalutare il pericolo di una azione eversiva che possa interessare il “nostro” Palazzo. Preciso, per chi ancora non lo sapesse, che la struttura progettata dall'architetto Piacentini è frequentata giornalmente da 5500 persone, con picchi (il mercoledì e giovedì) che raggiungono anche 11.500 accessi». Di esempi se ne potrebbero fare a bizzeffe, per dimostrare la vulnerabilità del tribunale. Valloreja sceglie il più eclatante: «Nessuno controlla, ad esempio, se un furgone che vi accede per necessitati approvvigionamenti nasconda, tra le materialità portanti, anche un congegno esplosivo Ied ovvero di altro sofisticato assemblaggio. Non esiste ad oggi neppure un apparato “bomb jammer” di inibizione dei segnali di radiofrequenza che attivano le cariche esplosive».

Ma l'incursione di un furgone carico di tritolo è solo l'ipotesi estrema. Da tempo, la leggerezza - per usare un eufemismo - dell'apparato di sicurezza era sotto gli occhi di tutti. Di chi la colpa? Come ieri fa presente a botta calda un importante magistrato, «la sicurezza è responsabilità della Procura generale, la stessa Procura generale che da anni impedisce l'accesso in tribunale alle telecamere dei mezzi di informazione». E certamente che in aula d'udienza possano entrare le calibro 9 e non gli iPad fa impressione.

Ma il tema più generale che viene segnalato, e che lo stesso Valloreja ieri rimarca, è il controllo degli accessi, una volta affidato ai carabinieri, poi appaltato ad aziende di sicurezza private. Il vero crollo avviene nel 2011, quando per risparmiare sui costi di gestione il Comune di Milano - che ha in gestione il Palazzo di giustizia e ne paga le spese relative - riduce il capitolato, dimezzando la presenza di guardie giurate armate alle entrate e affiancandole (e spesso sostituendole) con dipendenti civili disarmati di una azienda privata.

La decisione del Comune venne impugnata davanti al Tar da un gruppo di aziende specializzate in vigilanza, che denunciavano come l'affidare una mansione tanto delicata a personale non specializzato rispondesse indubbiamente a esigenze di bilancio ma non a quelle di garantire la sicurezza dell'obiettivo. Il Tar respinse il ricorso, e il Comune di Milano si giustificò dicendo che la modifica del contratto d'appalto non inficiava la efficienza della vigilanza. Ieri, la cruenta smentita.

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