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Diciotto jihadisti arrestati in Italia Volevano colpire il Vaticano

RomaAvevano le armi, martiri pronti a farsi esplodere e pianificavano attentati nei paesi d'origine ma anche in Italia. Tra i loro obiettivi c'era il Vaticano. Secondo gli inquirenti che ieri con un blitz hanno sgominato un'organizzazione terroristica internazionale affiliata ad Al Qaeda che operava prevalentemente in Sardegna e nel Lazio, nel marzo del 2010 due kamikaze pakistani erano sbarcati a Roma per colpire il simbolo del cristianesimo. Ma una perquisizione effettuata dalla polizia a casa di un indagato avrebbe spinto i terroristi a «cambiare aria» e a far saltare «quell'importante missione» di cui parlavano in un'intercettazione. «Roma era piena - dicevano - quando arriverà a quattro milioni di persone, se lui entrerà dentro, in mezzo alle persone. No, lui, in quell'aria delimitata, però qui...».

Delle 18 ordinanze di custodia cautelare emesse dalla Procura di Cagliari ed effettuate dalla Digos di sette province italiane ne sono state eseguite solo dieci, nei confronti di nove pachistani e un afghano, tra cui un imam residente a Bergamo, gli altri sono ancora ricercati (ma solo tre sarebbero ancora in Italia). Dalle intercettazioni risulta che due membri del network fondamentalista hanno fatto parte della rete di fiancheggiatori che in Pakistan proteggevano Osama Bin Laden e sono emersi contatti tra le famiglie degli affiliati e lo sceicco, addirittura una telefonata in cui uno degli arrestati chiede notizie di Bin Laden direttamente alla sorella dello sceicco. L'organizzazione aveva sposato la lotta armata contro l'Occidente e il progetto di insurrezione contro l'attuale governo del Pakistan: intimidendo la popolazione locale con atti terroristici come la strage nel mercato di Peshawar nell'ottobre del 2009 in cui vennero uccise più di 100 persone e che sarebbe stata progettata proprio ad Olbia, volevano costringere il governo pakistano a rinunciare al contrasto alle milizie talebane e al sostegno americano in Afghanistan. Ma era in Italia che venivano reclutati i terroristi e si raccoglievano i finanziamenti.

L'indagine è partita nel 2005 dopo che al porto di Olbia venne scoperto un camion pieno di esplosivo guidato da pakistani residenti in Sardegna ed è andata avanti tra mille difficoltà dovute soprattutto alla lingua e alla necessità di trovare traduttori fedeli e competenti in grado di interpretare il pashtu . Il ruolo principale era ricoperto dall'imam Muhammad Hafiz Zulkifal, 43 annni, che operava tra Bergamo e Brescia. Il procuratore capo di Cagliari Mauro Mura lo ha definito «un personaggio di spiccato spessore criminale, votato alla propaganda radicale e alla ricerca di fedeli anche pronti al martirio». L'imam operava in stretto contatto con Sultan Wali Khan, 39 anni, il capo spirituale della comunità pakistana di Olbia dove si progettavano gli attentati e dove «rientravano» i terroristi dopo le loro missioni in Pakistan. Khan gestiva alcuni negozi di bigiotteria a Olbia e a Roma e in passato aveva lavorato con un'impresa impegnata nei lavori per il G8 de La Maddalena. Nel suo negozio durante una perquisizione è stato fotografato un biglietto in lingua farsi che inneggiava al martirio. Era lui che si occupava, tramite collette ufficialmente per scopi umanitari tra le comunità islamiche del nord della Sardegna, del reperimento dei fondi da inviare alle quattro cellule collegate ad Al Qaeda in Pakistan per acquistare armi, esplosivi e zainetti per i kamikaze. Si sospetta che i terroristi avessero legami con i narcotrafficanti. Certamente si finanziavano con il traffico di esseri umani, organizzando i viaggi dei migranti ai quali chiedevano dai 6 ai 7mila euro. In cambio fornivano loro anche il supporto logistico necessario, a volte facendo ricorso a contratti di lavoro con imprenditori compiacenti per ottenere il visto, altre percorrendo la via dell'asilo politico.

In manette sono finiti anche Imitias Khan, Niaz Mir, Siddique Muhammad, tutti pachistani rintracciati ad Olbia; Yahya Khan Ridi, afghano, arrestato a Foggia, Haq Zaher Ui, catturato a Sora (Frosinone), Zuabair Shah, e Sher Ghani, pachistani bloccati a Civitanova Marche, mentre il connazionale Alì Zubair a Porto Recanati.

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