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Lo dicono pure i ministri: noi e Gentiloni a casa presto

Poletti si lascia scappare una previsione nefasta E Renzi telefona a raffica: voto prima dell'estate

Lo dicono pure i ministri: noi e Gentiloni a casa presto

Un governo nato per cadere. Al punto che lo dice più o meno in chiaro il suo azionista di maggioranza, Matteo Renzi. Che pur essendosi preso qualche giorno di riposo lontano da Roma, non manca di telefonare compulsivamente a parlamentari e giornalisti per fargli sapere che «si deve andare a votare prima dell'estate». Lui al governo non c'è più, almeno formalmente. A differenza di Giuliano Poletti che facendo strage del bon ton istituzionale non esita a dire che l'intenzione del neonato esecutivo è quella di «andare a votare presto, quindi prima del referendum sul Jobs Act». Che detto dal ministro del Lavoro nei corridoi del Senato proprio mentre Paolo Gentiloni sta chiedendo in aula la fiducia al nuovo governo una certa impressione la fa. Non solo perché il fine corsa di cui parla Poletti è praticamente dietro l'angolo, al più tardi a giugno. Ma soprattutto perché il ministro del Lavoro mette nero su bianco l'intenzione dell'esecutivo di boicottare una consultazione popolare - quella sul Jobs Act - chiesta da oltre tre milioni di italiani (tante almeno sono le firme depositate dalla Cgil). Insomma, non certo il miglior biglietto da visita per un governo appena nato e che ancor prima di ottenere la fiducia è già nell'occhio del ciclone per una lunga serie di gaffe: dall'incredibile autogol di «promuovere» Maria Elena Boschi e Angelino Alfano, al curriculum taroccato della neoministra dell'Istruzione Valeria Fedeli.

Un governo, insomma, che a sole 48 ore dal giuramento al Quirinale è già nel caos più totale. Un po' perché Renzi ha capito che l'impuntatura della Boschi che è voluta restare a Palazzo Chigi a tutti i costi ha di fatto vanificato il suo passo indietro. Se il leader del Pd ha resistito alle pressioni di Sergio Mattarella che chiedeva un Renzi bis, infatti, era soprattutto per marcare una discontinuità che invece nessuno percepisce, al punto che in Parlamento e in rete si ironizza sul governo ombra: «Gentilrenzi», «Renziloni» o «Gentilcloni» che sia. E questo soprattutto per colpa della Boschi. Ma, come spiegava ieri l'ex presidente del Consiglio nelle sue conversazioni telefoniche, «non c'è stato verso, Maria Elena non ha voluto sentire ragioni». Ma non è solo il premier per così dire ombra a dar segni di insofferenza, visto che molti dei ministri sono già sull'orlo di una crisi di nervi. Angelino Alfano, per dirne uno. Che nonostante l'inattesa promozione alla Farnesina non riesce a non reagire in maniera stizzita quando durante il suo intervento nell'aula del Senato il leghista Stefano Candiani lo invita provocatoriamente a «prendere lezioni di inglese».

Questo, dunque, è il clima surreale che si respira a Palazzo Chigi. Con Poletti che mette a segno l'ultimo, incredibile autogol. È vero che il Jobs Act è l'unico baluardo del renzismo ancora in piedi e che con ogni probabilità un altro referendum avrebbe numeri simili a quello del 4 dicembre. Ma certificare che l'intenzione del governo è quella di votare prima così da boicottarlo - la consultazione si dovrebbe tenere tra il 15 aprile e il 15 giugno, ma eventuali elezioni politiche la farebbero slittare al 2018 - è a dir poco da scellerati. La dimostrazione non solo di una totale assenza di strategia, ma anche di una certa qual confusione. D'altra parte, se ci fosse stata un po' più di lucidità, lo stesso Gentiloni avrebbe evitato di dire nel suo intervento in Senato che l'obiettivo del governo è «portare a termine le riforme».

È proprio la più importante di queste riforme, infatti, che gli italiani hanno sonoramente bocciato solo dieci giorni fa.

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