Barcellona sotto attacco

"Dietro ogni lupo solitario c'è un branco"

Gaiani: «C'è sempre un centro di comando. L'unico rimedio? Cacciare gli estremisti»

"Dietro ogni lupo solitario c'è un branco"

Il terrore, puntuale come un orologio ripiomba in Europa. Dopo l'attacco a Barcellona è finita nel mirino anche la Finlandia. Ma il leitmotiv della leadership europea è sempre lo stesso: attacchi isolati, cani sciolti, lupi solitari eccetera. Ma è proprio così? «Non ho mai creduto ai lupi solitari, neppure di fronte alle azioni di singoli», spiega Gianandrea Gaiani, direttore di AnalisiDifesa, analista ed esperto di terrorismo.

Quindi sono azioni organizzate e pianificate?

«Certo. L'Isis a volte usa singolarmente i suoi soldati, così li definisce, a volte in gruppo, ma c'è sempre un centro di comando e controllo che gestisce la situazione».

E nel caso di Barcellona?

«Nel caso di Barcellona è innegabile perché abbiamo un gruppo che ha cercato la strage sulla Rambla e che non era disposto come in passato a farsi ammazzare o ad arrendersi. Ma aveva un piano di fuga, quindi un'organizzazione, preparazione, una struttura logistica di supporto. E a Cambrils c'era un gruppo di fuoco che voleva fare la stessa cosa. Quindi dietro ci sono almeno il doppio di persone che hanno pensato alla logistica e a favorire la fuga. Niente lupi solitari ma cellule terroristiche ben strutturate».

Oggi il Califfato è in evidente difficoltà e deve combattere accerchiato. Perciò, a parte la propaganda, non ha molti strumenti per operare al di fuori de suoi confini statali. Però hanno messo in moto una macchina che ormai viaggia da sola con i jihadisti di casa nostra, un po' come Al Qaeda.

«Esatto, come Al Qaeda in passato. Ma l'Isis si è distinta perché ha costituito uno Stato, con il suo governo, le sue province, la sua polizia, il suo esercito, il suo welfare, cosa che Bin Laden non è mai riuscito a fare. Sul campo di battaglia non sono ancora sconfitti ma in netta ritirata. Questo non significa che abbiano ridotto la loro capacità terroristica in Europa».

E secondo lei come mai?

«Perché l'Europa non sta facendo nulla per ridurre le capacità terroristiche del jihadismo. Quando i numeri dicono che in Spagna ci sono circa 200 foreign fighter, dei quali 40 sono rientrati ma non sono in galera. Poi ci sono circa 800 elementi radicalizzati, in parte col passaporto spagnolo, in parte residenti in Spagna. E di questi circa 100 sono considerati potenziali terroristi in grado di compiere attentati, e non sono in galera».

Per non parlare del resto d'Europa...

«Sì, Francia, Germania, Gran Bretagna fino al Belgio. Questi numeri vanno moltiplicati per cinque, per sei. Solo in Germania sono stati censiti 7mila salafiti. Se questa gente continua a restare a piede libero, poi non possiamo illuderci che l'intelligence e la polizia possano controllarli tutti 24 ore al giorno. Anche perché questi numeri aumentano progressivamente».

Un fenomeno in espansione?

«Certamente. I foreign fighter che rientrano e non finiscono in galera, spesso non sono impiegati in azioni ma in opera d'indottrinamento, di addestramento all'uso di armi ed esplosivi. E poi perché non c'è contrasto all'estremismo islamico. Noi ci teniamo degli imam che predicano il rogo per i gay, lo stupro per le donne che si profumano e girano in minigonna e li lasciamo pure parlare con i giornalisti in Europa. Così non riusciremo mai a battere il terrorismo se non fermiamo gli estremisti che poi diventeranno terroristi. È come svuotare il mare con un cucchiaino».

È un problema soltanto europeo?

«In Europa è più che evidente. Quando senti il coordinatore Ue per l'antiterrorismo Gilles de Kerchove, ex poliziotto, affermare al Parlamento europeo che dall'Iraq e dalla Siria rientreranno circa 5mila foreign fighter e non si può metterli tutti in galera, io dico perché no? È tutta gente che ha compiuto crimini contro l'umanità, non vedo perché non metterli in dietro le sbarre».

Quindi la soluzione è incarcerarli tutti?

«Hanno stuprato e reso schiave donne e bambine, massacrato persone innocenti. Noi ci stiamo riempiendo di mostri e facciamo finta che siano dei tossicodipendenti da curare. La minaccia c'è e noi stiamo contribuendo a ingigantirla. Mi pare che nessuno in Europa stia adottando una strategia vincente che sarebbe poi quella di cacciare tutti gli stranieri considerati estremisti e togliere il passaporto a chi ha la doppia cittadinanza».

Questa linea morbida è dettata anche dai delicati rapporti con alcuni Paesi come il Qatar e l'Arabia Saudita?

«Ci sono due aspetti: ci sono Paesi che nel 1971 non esistevano neppure e che oggi si comprano in Europa hotel, squadre di calcio, aziende e soprattutto coscienze. La pericolosità di questa penetrazione avviene con i petrodollari ma anche con gli imam addestrati in questi Paesi, i quali rimpiazzano i vecchi imam. E l'atteggiamento blando è dovuto a questi grandi investimenti, che condizionano la politica estera delle nazioni europee. E poi c'è l'altro aspetto, quello del diffuso terzomondismo presente in certi ambienti sociali e politici, e che sono presenti anche nel attuale governo italiano, tanto da ostacolare l'azione del ministro dell'Interno Minniti».

Troppa tolleranza verso il mondo islamico?

«L'Islam non può assere accettato della nostra società per i suoi valori e per la negazione dei diritti. Islam significa sottomissione. Credo non ci sia compatibilità con la nostra cultura e società.

Non dico che bisognerebbe mettere fuori dall'Europa tutti i musulmani, ma per gli elementi radicalizzati il discorso è diverso: vanno messi in condizione di non nuocere».

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